Ho seguito distrattamente ma non senza un certo interesse una singolare polemica apparsa in questi giorni sulle pagine di Artribune. In realtà non dovrebbe trattarsi di una polemica, visto che tutto è partito da un semplice resoconto di una mostra. Ma come si sa in Italia si è facili alle zuffe, specialmente se esse scaturiscono dal variegato mondo della rete. Il resoconto in questione è focalizzato su una recente opere del bravo Gian Maria Tosatti in quel di New York, durante una residenza d’artista.
Non sto qui a dilungarmi sulla descrizione dell’opera visto che potrete trovare immagini e parole all’interno dell’articolo pubblicato da Artribune. Inutile aggiungere che Gian Maria Tosatti ha intrapreso da anni un percorso creativo ben preciso che non ha certo bisogno di difese esterne e non può sollevare dubbi sulla qualità sia filosofica che formale. Detto questo, l’operato di un artista può e deve essere criticato, può piacere o meno ma non è questo il punto. Ciò che mi ha davvero colpita è la sfilza di commenti negativi, perlopiù dettati da una malcelata invidia, presenti in calce all’articolo. Non molto tempo fa anche una mostra all’estero di Laurina Paperina fu duramente criticata ed andando ancor più indietro nel tempo si potrebbero fare ulteriori esempi. Eppure tutti i detrattori di Laurina Paperina e tutti quelli di Gian Maria Tosatti non hanno visto la mostra dal vivo. Se è vero che (come qualcuno ha scritto) siamo nell’era di internet e delle mostre virtuali è pur vero che determinati ambienti, come pure quelli di Mike Nelson, hanno un tremendo bisogno delle nostre percezioni per attivarsi e per vivere. “Tutto consiste in questo, vedere la Madonna o non vederla.” recitava Carmelo Bene nel lungo monologo di Nostra Signora dei turchi, questa affermazione mi torna oggi in mente e mi sembra più azzeccata ed attuale che mai.
L’arte italiana è poco presente all’estero, i nostri artisti fanno le comparse e quando riescono a varcare i nostri confini vengono denigrati invece che sostenuti. Questa scena nostrana segue meccanismi davvero inconsueti, finché si è giovani carini e disoccupati, tutti sono disposti ad elargir sorrisi e consigli. Si diventa così una sorta di mascotte con cui è piacevole scambiar due chiacchiere, mentre al vernissage di turno si sorseggia distrattamente un bicchier di vino e si ingurgitano manciate di noccioline salate. Le cose ovviamente cambiano quando si comincia a lavorare con continuità e soprattutto con successo. Allora la propria arte si trasforma in spazzatura, i concetti si svuotano, le estetiche si impoveriscono. Poi spuntano fuori amicizie, raccomandazioni e giri loschi. La rete genera anche questo e gli artisti che si auto-convincono della sola esistenza di un’arte virtuale finiscono poi con il perdere anche i contatto con la stessa forma. Ci si ritrova a sputar inutili sentenze davanti al monitor invece di produrre arte, di sviluppare una filosofia, di uscire fuori e crearsi una rete di contatti, di accaparrarsi con il denti una borsa o una residenza. Tutto consiste in questo, vedere la Madonna o non vederla affatto.
Micol Di Veroli
Sergio 31 Ottobre 2011 il 15:24
Certo che qualcuno che dice “non può sollevare dubbi sulla qualità sia filosofica che formale”…mi lascia perplesso. Detto questo, non ho letto artribune nè ho visto la mostra, ma chi ha scritto questo articolo l’ha vista?
E’ vero che si può parlare per invidia, ma anche per amicizia o interessi vari.
Micol Di Veroli 1 Novembre 2011 il 10:54
La frase che tu metti tra virgolette è riferita al percorso di un artista che conosco bene perché ho avuto modo di vedere dal vivo le sue opere. L’opera in questione non ho avuto modo di vederla ed infatti non mi soffermo su di essa ma cerco di far capire che non si può sempre attaccare un artista appena questo riesce ad uscire da un sistemino tipicamente italiano.
comunque l’articolo parte da questa considerazione per poi allargarsi a discorsi più ampi, ad esempio su come il nostro paese non riesca a sostenere i nostri artisti all’estero.
Sergio 1 Novembre 2011 il 14:42
Il tuo articolo l’ho letto tutto, anche la parte che mi rammenti ma non credo che qualche critica tra i commenti di artribune possa nuocere al buon T. Non mi pare si trovino la i pareri che contano.
Hai ragione che è difficile esportare artisti che provongono dal sistemino italiano fatto di noccioline, aperitivi, critici/curatori/giornalisti amici, o amici/ex o ancora dipendenti del gallerista.
A meno che uno non se la cavi con le noccioline e i contatti anche fuori dal suolo patrio.