MC: La tua selezione prova della relazione ambigua che la realtà può avere con la finzione. Le opportunità della comunicazione di massa unite ad un rapporto realtà-fiction sempre più ambiguo tendono a spiazzare le possibilità dell’arte. O meglio, l’arte dovrebbe reagire a questo spiazzamento.
La Rivoluzione siamo noi, Luca Rossi intervista Maurizio Cattelan
di 3 Novembre 20111
Luca Rossi 3 Novembre 2011 il 19:42
Riporto botta e risposta commenti da whitehouse:
Leggo sempre con interesse questo blog. Ogni volta che un post mi cattura, spero di trovare nei commenti una discussione avviata e stimolante sulle importanti questioni sollevate. Purtroppo caro Luca, quello che tu cerchi con insistenza nel pubblico (spirito critico, capacità di approfondimento, argomentazioni) è esattamente ciò che il pubblico, pigro e svogliato, evita accuratamente. Il fruitore contemporaneo trangugia novità a ritmi esasperanti. Si annoia a velocità supersonica. Tutto è lento, vecchio. Non si ferma nemmeno un minuto a pensare, distratto dal vortice degli effetti speciali.
Leggendo le parole disincantate tue e di Maurizio è nata in me la tentazione di portare alle estreme conseguenze alcune suggestioni presenti nei vostri discorsi. Indipendenza dal mercato… L’artista nell’angolo e con le spalle al muro… Guardare le cose da distante… Suicidio dell’artista… Ridefinire il proprio ruolo… Legare dell’esplosivo alle lettere che formano le parole “ruolo di artista”…
In definitiva, se il problema è il “sistema” dell’arte, il mercato, allora il problema sono i SOLDI. Il mondo occidentale come lo conosciamo sta andando a rotoli perché è ossessionato dal denaro. Spero che, in questa lenta agonia della società del benessere, gli artisti (non dico tutti ma almeno qualche Artista) riescano a salvarsi, differenziandosi. La smania capitalista del guadagno ha professionalizzato l’arte: è artista solo chi vende, chi guadagna. Allora va bene assecondare i gusti delle masse, produrre a ritmi serrati opere senz’anima, con il solo scopo di stupire, attirare l’attenzione. Il “sistema” dell’arte produce, (si) consuma e crepa: ha perso di vista il significato e il senso della creazione artistica.
Cosa accadrebbe eliminando dalla macchina della mercificazione dell’arte il carburante: il denaro? La DEPROFESSIONALIZZAZIONE priverebbe l’artista della possibilità di vivere d’arte, ma restituirebbe all’arte il suo significato profondo e filosofico. Cancellata l’ansia generata dal “produrre per vendere”, tagliati i vincoli del mercato, si conquisterebbe una nuova libertà: quella di potersi fermare a pensare. Quindi evviva gli artisti della domenica (e del sabato pomeriggio): quelli che il lunedì tornano a lavorare come sempre, ma che nel weekend si concedono il lusso di fare la “rivoluzione”.
messaggio firmato
Il percorso ventennale di Maurizio Cattelan interpreta perfettamente la condizione di (più o meno costretta) superificialità del pubblico, dei cittadini. Lo stesso torpore, la stessa distrazione, lo stesso pressapochismo, lo stesso menefreghismo che hanno portato l’occidente dentro a questa crisi. Pensa che ci sono software che permettono di spostare enormi quantità di denaro in pochi secondi, producendo ricchezza senza creare lavoro, senza portare benefici a nessuno. Questa è la perversione. Cattelan è figlio del suo tempo (primi anni ’90) e interpreta questo aspetto anche dal punto di vista del mercato. Fa questo con grande consapevolezza e furbizia rispetto ai suoi limiti, che in questo modo rimangono ma diventano il fulcro per usare una leva.
Non credo che il pubblico sia scemo. Credo che sia sicuramente annoiato e ormai assuefatto a tutto. Ma credo anche che non ci siano opportunità per ristabilire un rapporto con il pubblico basato sulla passione e l’entusiasmo. Questa sarebbe la vera rivoluzione per quale, però, non c’è tempo, appunto. Bollette, pannolini, il default, la palestra, la settimana bianca, il traffico,i bambini, ecc. ecc. Su questo aspetto sto collaborando ad un progetto concreto di “corpo a corpo” con il pubblico, per ora solo ad Imola e Faenza. Una goccia nel mare, ma da qualche parte bisogna partire.
Personalmente, da diverso tempo, sto portando alle estreme conseguenze alcune suggestioni di cui abbiamo parlato nell’intervista. Ma ora non è il caso di dilungarsi, ti invito a prendere visione della documentazione in questo blog. Ma pensa anche solo a ghost track la mostra che ho curato in Piazza Duomo a Milano nel dicembre 2009, e che ha coinvolto lo stesso Maurizio Cattelan. Zero budget, distanza reale e fisica da un sistema ormai asfittico, contenuti, suicidio dell’artista, ridefinizione dell’artista, ecc.
La mia azione sarà sempre più incisiva; in modo direttamente proporzionale alle criticità idiote del contesto. Il mercato, le istituzioni, la dittatura del contesto sopra i contenuti, sono cose che ho già bypassato con molti progetti reali e concreti. Il problema è che il pubblico non ci “crede” senza la benedizione delle istituzioni considerare “giuste”. Soprattutto perchè in italia non c’è pubblico. Staremo a vedere.
LR