Da martedì 22 novembre 2011 la galleria Cardi Black Box ospita la prima personale milanese di Flavio Favelli (Firenze, 1967) intitolata Manatthan Club, a cura di Art At Work. L’ampia mostra, che occuperà entrambi i piani della galleria, sarà l’occasione per conoscere e approfondire la poetica di Flavio Favelli, che si caratterizza come una sorta di viaggio nella memoria individuale attraverso l’accumulo di oggetti, che l’artista rielabora, modifica, combina tra loro e trasforma in altro.
Una ricostruzione (non filologica ma giocata sul piano dell’emotività) per immagini e segni di un passato personale, che tuttavia si può intendere anche come volontà di attivare la rievocazione di una storia recente, quella dell’Italia degli anni ’60 e ’70. Manatthan Club racconta infatti la storia dei consumi – attraverso mobili, luci al neon, tappeti, collage di immagini e di francobolli di cui Favelli amplifica il potenziale poetico – che diventa a sua volta metafora della trasformazione socio-culturale di un’Italia che, uscita dal dopoguerra, si spogliava della sua dimensione provinciale e si convertiva in società di consumo.
Flavio Favelli sviluppa la sua pratica artistica attraverso il rapporto intimo e personale che instaura con gli oggetti, le immagini e i mobili che raccoglie incessantemente nei mercatini e dai robivecchi in giro per l’Italia. Monta, smonta, taglia incolla cose di ogni genere, creando un universo estetico carico di bellezza malinconica e di poesia, caricandole di suggestioni emotive personali e a volte criptiche. Così i suoi grandi collage di francobolli o le cartoline inseriti in cornici d’epoca, i patchwork di tappetti e tendaggi, sembrano registrare in maniera personale il passare del tempo, creando una personalissima sintesi tra pittura, scultura, istallazione.
Il titolo, ‘Manatthan Club’, che riporta volutamente un errore ortografico, nasce dalla fotografia scattata da Favelli nella primavera del 2011 (e scelta come invito per la mostra) a un locale notturno in cui l’artista si è imbattuto in Sicilia, sulla statale che collega Licata a Gela. Questo non-luogo con la scritta nera a caratteri cubitali su pareti fucsia e rosse evocava la promessa della trasgressione e del divertimento associate al mito della metropoli americana. L’accostamento inaspettato di questi tre colori torna ossessivamente nei mobili trasformati in lightbox dai neon, così come nei loghi e nei diversi oggetti che costituiscono, nelle parole dell’artista: “…il mio immaginario e quello di un paese, l’Italia, che lambisce il provinciale-trash-pop-meridionale.”