Federica Schiavo Gallery di Roma inaugura il 24 novembre la mostra Reworking Memories che riunisce il lavoro recente di tre giovani artisti dell’Est Europa: Agnieszka Polska, Svätopluk Mikyta e Nika Neelova. Le opere in mostra rinviano al processo di acquisizione, rielaborazione e distorsione delle narrazioni storiche attualmente in auge e ai metodi di costruzione di storie individuali dimenticate. Ciascun artista manipola il linguaggio e la memoria, interrogando le comuni idee di archivio, percepito come la più autentica registrazione della memoria di un popolo. Analizzano le potenzialità di archivi reali o immaginari, collettivi o privati per rinarrare nuove storie e suggerire punti di vista inusuali sulle comuni retoriche della storia, così come sulle mitologie private.
I principali media usati da Agnieszka Polska sono l’animazione, il video e la fotografia. In galleria, l’artista polacca presenta un progetto che include una grande proiezione del nuovo video, dal sapore quasi documentaristico, How The Work Is Done e un selezionato gruppo di opere dalle serie fotografiche: Arton e How The Work Is Done. Polska lavora citando temi della storia dell’arte nonostante le proprie realizzazioni siano composte da collage di immagini banali. L’artista indaga la veridicità degli archivi e le narrazioni storiche da questi fornite. Come si ripercuote la documentazione di un’opera d’arte sulla successiva ricezione? Perché questa documentazione spesso sembra più interessante dell’oggetto documentato o dell’evento in sé? L’atto di archiviare serve a mantenere la memoria sui valori culturali viventi selezionati dalla storia o piuttosto a negare quei valori che non sono stati scelti per essere archiviati? L’archivio – come ogni organismo vivente – vive e cambia incessantemente moltiplicando all’infinito le immagini di sé. Gli elementi che sono stati negati e rifiutati nel processo di archiviazione successivamente emergono come materia oscura del nostro subconscio. La maggior parte dei video di Agniezska Polska e dei suoi progetti fotografici si concentra su come il fraintendimento del passato spinga l’arte a creare nuove qualità e a porre nuovi interrogativi.
Svätopluk Mikyta è un artista slovacco con una forte identità centro-europea. Il suo lavoro indaga e reinterpreta l’impatto visivo delle immagini prodotte nel XX secolo sotto l’influenza dei diversi regimi totalitari nell’Europa Orientale e Centrale. L’artista presenta in mostra l’intervento site-specific, Society I e Society II, che introduce la sua peculiare pratica artistica. Per diversi anni l’artista ha lavorato infatti su serie di ‘over-drawings’ riuniti in cicli e spesso presentate nello stile di grandi installazioni. Partendo da stampe di alta qualità trovate in riproduzioni fotografiche di vecchi libri e riviste, Mikyta le rielabora con diverse stratificazioni tecniche. A volte i suoi interventi sono così rifiniti da creare qualcosa di totalmente nuovo in termini di composizione e di tema. Questi interventi mostrano sempre un inequivocabile feeling per il potenziale grafico del materiale originario, per la sua essenza storica: la psicologia collettiva in esso celata. Tuttavia, l’artista esplora contemporaneamente anche il destino dell’individuo – incluso il proprio – inserito nel contesto del proprio tempo. L’aspetto intimo del suo lavoro giunge a una simbiosi con le riflessioni sui temi di massa ed entrambe le dimensioni confluiscono in un tutto compatto. L’artista afferma: “Mi piace mettere in dubbio qualcosa che è percepito come intoccabile e immutabile per istigare la gente a guardare le cose da un angolo diverso e in questo modo ‘muovere’, forse inavvertitamente, qualche tema o problema”.
La giovane artista russa Nika Neelova, vincitrice nel 2010 del premio New Sensations organizzato dalla Saatchi Gallery e dall’emittente televisiva inglese Channel 4, debutta in Italia con l’installazione scultorea Relics. In questo lavoro Neelova è interessata all’idea di fondere realtà e finzione, facendo entrare parte delle narrazioni fantasiose nel mondo reale. Il tema è ispirato alla famosa leggenda dell’unicorno, e della sua spiegazione in chiave scientifica, per rivelare la contraddizione fra la percezione di un racconto fantastico e l’accettazione di realtà. Il lavoro di Neelova si lega a storie personali, collettive o adottate. Le sue installazioni rappresentano strutture architettoniche narrate attraverso l’evocazione di elementi culturali o architettonici di luoghi che l’artista ha conosciuto o visto. Frammenti di questi spazi sono ricostruiti dall’artista con materiali di recupero, negoziando così un nuovo spazio tra storie reali e storie sconosciute. L’opera di Neelova diventa dunque una dislocazione culturale e storica che riconosce anche la transitorietà e persistenza del tempo. La nozione di tempo è centrale nella sua produzione. La dipendenza dalla memoria esplora anche il suo fallimento, dove distorsione e frammentazione sostituiscono il reale e lo completano. L’artista costruisce un set complesso di correlazioni tra il rievocato, il dimenticato, il concreto e l’effimero dove questi indici frammentari prendono forma in oggetti monumentali ed evocativi della malinconia.