Il sistema dell’arte vuole trasformare gli artisti in un manipolo di individui ansiosi e stitici che attendono disperatamente di essere scoperti e guadagnare un qualsiasi tipo di riconoscimento. Questo ovviamente potrebbe essere il giusto scotto da pagare per raggiunger celebrità e successo economico, ma giunti a questo punto i folli meccanismi presenti all’interno della scena tricolore risultano essere talmente fuori controllo ed inconcludenti che il gioco non vale più la candela.
Ragionando a mente fredda sul pasticcio Padiglione Italia alla Biennale di Venezia è possibile riscontrare alcuni aspetti comportamentali che in un modo o nell’altro devono per forza di cose cambiare, se non vogliamo che i nostri artisti si disperdano nel nulla, come semplici pedoni da immolare su di una scacchiera mal concepita dal curatore-arraffone di turno. Farsi rastrellare in liste chilometriche pronte a cangiare da un giorno all’altro, farsi trattare come carne da macello senza il minimo ritegno, pagarsi le spese di spedizione delle opere ed in seguito allestire le stesse con le proprie mani, partecipare ad un progetto raffazzonato che svilisce la propria creatività ed in seguito subire l’iter burocratico di un allestimento da magazzino dell’Ikea durante il riordino merci. Tutto questo ha spostato la centralità dell’artista e la sacralità dell’opera d’arte ad un milione di anni luce di distanza dalla pratica artistica stessa. Questo martirio è servito solo a screditare l’Italia di fronte al mondo intero, poiché agli occhi del mondo l’artista italiano è un individuo pronto a sopportare qualsiasi deportazione pur di inserire nel suo curriculum la partecipazione alla Biennale.
Ovviamente questa non è la verità ma è questa la realtà che l’immobilismo istituzionale sta cercando di costruire, per speculare al meglio su una massa inerme e disposta a tutto. L’antidoto a questo veleno è la disobbedienza, il rifiuto da sputare in faccia ai progetti che sminuiscono la propria creatività, alle mostre-capestro in cui a lucrare sono solo i soliti compagnucci di merende, ai galleristi che chiedono soldi in cambio di visibilità, ai concorsi truccati ed ai contratti “a voce”. Siamo ormai giunti nel punto più profondo, da qui in poi possiamo solo risalire.
Micol Di Veroli
con tutto il rispetto 16 Gennaio 2012 il 16:21
sì ma per formarsi artisticamente si spendono dei soldi, esattamente come succede per tutte le altre professioni, aspirare ad ottenere un riconoscimento dignitoso e mangiare non mi pare chissà che