Giusto in questi giorni ha avuto luogo la cerimonia di chiusura di Performa 11, l’ormai celebre biennale della performance art che puntualmente richiama un sempre più crescente nugolo di spettatori in quel di New York. Quest’anno la manifestazione ha persino istituito un premio in denaro, vale a dire il Malcolm Award alloro che deve il suo nome al grande Malcolm McLaren, compianto manager e produttore discografico nonché lungimirante scopritore del fenomeno punk e motore centrale dei Sex Pistols di Rotten e compagni.
Il premio è stato vinto dal bravissimo Ragnar Kjartansson che con la sua opera in 12 ore dal titolo Bliss è riuscito a catturare l’attenzione del pubblico e degli organizzatori, portandosi così a casa un bel gruzzoletto costituito da ben 10.000 dollari di premio finale. Questo congruo bottino apre però una parentesi sul reale mercato della performance art. Se è vero che in questa occasione Kjartansson è stato remunerato per una sua opera, è altrettanto vero che, salvo sporadiche occasioni, le fonti di guadagno per un performer artist sono molto limitate. La forma effimera di questa disciplina e la mancanza di un oggetto vendibile rappresentano infatti dei veri e propri limiti di mercato che possono essere aggirati solamente mediante alcuni espedienti. Uno di questi espedienti è senz’altro la possibilità di creare dei documenti, vale a dire video, immagini fotografiche ed elementi testuali i quali possono in seguito essere immessi all’interno del mercato. Ciò funziona alla grande per tutti quei protagonisti del contemporaneo che rappresentano ormai un vero e proprio brand internazionale, basti pensare a Marina Abramovic.
Il giovane performer che desidera avvicinarsi a questa meravigliosa disciplina, deve quindi metter in conto un lungo periodo di avviamento. L’alternativa è quella di vendere il “progetto”, sarebbe a dire la propria idea ma questo riesce solamente a Tino Sehgal e noi sinceramente non abbiamo ancora capito come riesca a trovare clienti pronti a pagare per un’idea.