Finalmente un nuovo eroe. E finalmente lo vannno a prendere dalla letteratura. Mette voglia di leggere Conan Doyle.
Lo Sherlock Holmes interpretato da Robert Downey Junior è adddiritura affascinante come i cattivi e non noioso come i buoni. Intendo proprio affascinante come il solare caotico Joker, molto più che come il complesso e complessato problematico lunare notturno Batman. Joker che in fondo, a modo suo (e il suo modo è il tutto) la vita la ama e la ama senza regole.
Viene quindi tolta la parte nefasta propria dei cattivi, quella che uccide e semina panico, e aggiunta una simpatica schizofrenia matematica: una follia da calcolatore visionario meticoloso (in quanto tale semi paranoide), “la mia condanna è vedere tutto”, dice.
Il rapporto con Watson è a tratti quasi d’amore e di gelosia. Si vive nel tentativo di far primeggiare una indefessa e solo apparentemente casuale conoscenza della supremazia dell’anarchia nelle leggi della vita. La vita, ovvero, è basata su calcoli scientifici e non su consuetudini, per questo paradossalmente è non ortodossa.
La bella notizia è che perfino Watson Jude Law batte Moriarty in temperamento.
L ‘apparentemente ordinato dottore in viaggio di nozze non è né ordinato né sprovveduto. Calcola come Holmes, con cui quasi compete, ma è deprivato del primo strato di follia; quello dei tic e dell’assillo nel calcolo. Non disdegna un buon vino e una bella puntata al gioco.
La conoscenza della vita consueta e della normalità gli vieta però il livello più alto: quello del puro calcolo. La partita a scacchi con la morte la gioca Holmes. Nella terrazza dell’astrazione dalla vita la gioca contro Morte Moriarty, il sigillo ipoteca sul vivere che qui equivale a distruggere il nemico. Watson è però la regina cui affidare l’attacco finale.
A proposito, stiamo battendo i cine-cialtroni italiani con un buon film e con un eroe positivo, ok non sarà Quarto Potere, ma sinceramente, per come vanno le cose oggi, mi accontento.