Nell’ambito del progetto Le scatole viventi / The Living Boxes, a cura di Andrea Bellini, il Castello di Rivoli, in collaborazione con il Fondo Luigi Ghirri,inaugura il 3 febbraio 2012 la mostra LUIGI GHIRRI – Project Prints. Un’avventura del pensiero e dello sguardo, a cura di Elena Re.
Attraverso un’ampia selezione di project prints – le prime stampe a contatto che Ghirri aveva realizzato per visualizzare il proprio lavoro – la mostra offre un percorso, di fatto inedito, sui principali progetti di ricerca fotografica sviluppati dall’artista dal 1980 al 1992, anno della sua prematura scomparsa. Parallelamente – attraverso una raccolta di maquettes di opere da lui realizzate negli anni Settanta, cui si uniscono numerosi scritti, oggetti e documenti originali conservati nel suo archivio – la mostra approfondisce ulteriormente la questione nodale del progetto nell’opera di Luigi Ghirri, diventando nel complesso un singolare momento di riflessione sul pensiero, sulla poetica e sulla visione progettuale dell’autore. Una visione che ha aperto un nuovo scenario, che è entrata a far parte di un dibattito culturale di ampio respiro e che costituisce tutt’oggi un punto di riferimento essenziale per gli artisti della nuova generazione.
Un’avventura del pensiero e dello sguardo. Il sottotitolo della mostra è un’espressione formulata da Ghirri stesso per definire la fotografia, una riflessione che egli introduce nel suo scritto L’opera aperta, 1984. Un testo fondamentale per comprendere la sua poetica, oggetto di una sua conferenza tenuta alla Sorbonne di Parigi. Il dattiloscritto originale è fra i documenti esposti in mostra.
La fotografia […] penso che sia un formidabile linguaggio visivo per poter incrementare questo desiderio di infinito che è in ognuno di noi. Come ho detto prima, una grande avventura del mondo del pensiero e dello sguardo, un grande giocattolo magico che riesce a coniugare miracolosamente la nostra adulta consapevolezza ed il fiabesco mondo dell’infanzia […]. Borges racconta di un pittore che volendo dipingere il mondo, comincia a fare quadri con laghi, monti, barche, animali, volti, oggetti. Alla fine della vita, mettendo insieme tutti questi quadri e disegni si accorge che questo immenso mosaico costituiva il suo volto. L’idea di partenza del mio progetto-opera fotografica può paragonarsi a questo racconto. L’intenzione cioè di trovare una cifra, una struttura per ogni singola immagine, ma che nell’insieme ne determini un’altra. Un sottile filo che leghi autobiografia ed esterno. (Luigi Ghirri, L’opera aperta, 1984)
Per entrare nel dettaglio e analizzare più approfonditamente il significato dei project prints e dunque il tema del progetto nell’opera di Luigi Ghirri, bisogna innanzitutto dire che, cresciuto in un clima concettuale, fin dai primi anni Settanta Ghirri aveva maturato alcune fondamentali considerazioni intorno al ruolo della fotografia nell’ambito dell’arte contemporanea. In generale, l’interesse si era spostato dall’abilità necessaria all’artista per creare manualmente l’opera verso la coincidenza tra l’opera e la realtà registrata dalla macchina fotografica, in un processo che aveva spesso fatto riferimento al ready-made di Marcel Duchamp e alla scrittura automatica dei Surrealisti. Sicché, forte di un simile confronto, Ghirri stesso era arrivato a concentrarsi essenzialmente sui contenuti del proprio lavoro, sviluppandone la parte progettuale e ponendo al centro della sua ricerca “il guardare”, ossia la capacità al contempo razionale ed emotiva di decifrare i dati raccolti attraverso la percezione, trasformandoli in pensiero visivo. Proprio in questo periodo, Ghirri inizia quindi a lavorare in modo sistematico su più progetti e a strutturare le sue prime serie, realizzando spesso delle maquettes che permettevano di visualizzare l’opera e ragionare su di essa. Ma proseguendo il suo lavoro nel decennio successivo e approfondendo la sua ricerca espressiva sul tema del paesaggio, a partire dai primi anni Ottanta Ghirri abbandona progressivamente la macchina fotografica di piccolo formato e inizia a produrre negativi di formato più grande, non certo per amore della tecnica ma quasi per “entrare” con maggiore intensità nel soggetto analizzato. La centralità del pensiero e il senso del progetto continuano di certo ad essere anche in questi anni i presupposti irrinunciabili del suo lavoro. A tal punto che questi stessi negativi si rivelano in realtà come un ulteriore strumento progettuale a sua disposizione. Da tali matrici si possono infatti realizzare delle ottime stampe a contatto, delle piccole fotografie che Ghirri può a questo punto ritagliare, archiviare, mettere in fila, per vedere ogni immagine, per progettare le serie, per organizzare il proprio sguardo, lasciandole anche sciolte per poterle di nuovo aggregare in infinite combinazioni. Queste piccole fotografie attraverso cui Luigi Ghirri dai primi anni Ottanta al 1992 elabora la propria visione e sviluppa un pensiero intorno alla propria opera sono dunque i project prints, un nucleo assai corposo di stampe in miniatura che nasce come strumento di progetto.
In occasione della mostra al Castello di Rivoli è pubblicato un catalogo, edito da JRP|Ringier, a cura di Elena Re. Il volume include 200 immagini a colori relative a tutte le opere, gli oggetti e i documenti in mostra, un testo critico della curatrice, interviste ad Andrea Bellini, Paola Ghirri e Massimo Minini. Il catalogo comprende inoltre una raccolta di brani tratti dagli scritti di Luigi Ghirri, in cui l’autore stesso sottolinea e ribadisce la centralità del pensiero che precede l’opera.