C’è la crisi, c’è la crisi. I grandi colossi bancari perdono colpi in borsa, le casse governative sono sempre più misere, le amministrazioni brancolano nel buio e tagliano i fondi alla cultura. Il bello è che le istituzioni i fondi per la cultura non li vogliono nemmeno, basti pensare a ciò che sta accadendo in queste ultime ore con i soldi promessi da Diego Della Valle per il restauro del Colosseo romano. Il patron della Tod’s avrebbe già versato una prima tranche da 10 milioni a garanzia del pagamento ma la burocrazia ha fermato tutto. Secondo quanto riferisce il Codacons l’Antitrust avrebbe evidenziato una serie di distorsioni della concorrenza nell’affidamento dei lavori a Tod’s. Insomma la situazione di riflesso rischia di guastare la festa anche al nostro beneamato mondo dell’arte contemporanea ed in special modo al settore curatoriale, che notoriamente di fondi ha un disperato bisogno per l’organizzazione di eventi e mostre.
Ed allora, come fare per risolvere questa spigolosa situazione? Niente, poiché la crisi rappresenta un vero e proprio toccasana per il curatore dell’arte contemporanea. Già, la scrivente non è mancante di qualche rotella e non ha nemmeno sviluppato una particolare affezione per il sadismo. Finalmente la “nostra” categoria è giunta ad un’importante banco di prova, finalmente è giunta l’ora di rimboccarsi le maniche e fare quello che da tempo andava fatto. Se si vuol realmente promuovere l’arte e gli artisti, sviluppare progetti concreti e perché no sbarcare il lunario (che non è peccato), sarebbe utile smetterla con l’assistenzialismo e passare all’”azionismo”. Fino a ieri molti curatori si avvicinavano agli spazi istituzionali con le mani protese nel tentativo di racimolar fondi pubblici per poi organizzare eventi discutibili. Questo nostro pallino dello “Stato che deve aiutare il cittadino” ci ha condannati per troppo tempo alla mollezza ed all’insipienza. Oggi i soldi sono inevitabilmente finiti, i rubinetti chiusi ed allora il curatore deve per forza di cose rendersi attivo, procacciare fondi e sponsors seguendo schemi più dinamici. In tal modo si attua una selezione naturale, solo i veri professionisti ed i progetti realmente importanti sono in grado di emergere, il resto si ferma ai nastri di partenza.
Vorrei chiudere citando un articolo di Goffredo Fofi, comparso su L’Unità del 2 luglio 2011: “È stata insieme una commedia e una tragedia la storia dell’assistenzialismo nel campo delle arti, dilagata negli anni delle vacche grasse e dell’allegra gestione della cosa pubblica operata dai partiti più forti attraverso leggi e leggine. “Una commedia”, perché l’uso del denaro ha finito per privilegiare i compagni di strada di questi e di quelli, per privilegiare le corporazioni e adunate più forti senza alcun riferimento alla qualità dei prodotti e al loro legame col presente storico del paese e con le sue necessità di capirsi e cambiare […] Ma la crisi non è un’invenzione la crisi c’è ed è mondiale, colpisce tutti e soprattutto chi ha dimenticato l’arte di arrangiarsi e di creare in anni trascorsi in paciosa e soddisfatta servitù o, i giovani, crescendo tra corruzioni e menzogne che hanno considerato come l’unica forma del possibile.”