I fasti della Young British Artists generation sono passati ormai da un bel pezzo. L’anello di congiunzione che ha decretato il successo di gente come Tracey Emin, Damien Hirst, Steve McQueen, Chris Ofili, Marc Quinn e Jenny Saville si è irrimediabilmente spezzato ed a nulla sono valsi i tentativi di Charles Saatchi di ricomporre i frammenti dell’incantesimo. Eppure il buon Saatchi aveva organizzato nel 2010 la mostra Newspeak:British Art Now, con la speranza di sfornare altri artisti in grado di bissare quanto fatto dagli eroi di Sensation.
Ma le galline delle uova d’oro hanno chiuso i battenti con l’avvento della crisi economica e con lo scoppio della bolla speculativa dell’arte contemporanea innescata dalle vendite in fantastilioni di paperdollari di Damien Hirst. Proprio il buon Hirst ha chiuso un’epoca, aprendone un’altra ben più oscura con la faraonica serie di mostre in tutte le gallerie Gagosian del Mondo. Difficile quindi ripetere il miracolo della YBA e forse gli artisti britannici di nuova generazione non hanno nemmeno voglia di calcare le orme dei loro illustri predecessori. Niente più squali in salamoia, i nuovi artisti britannici hanno scelto vie più sobrie, puntando alla collaborazione ed al supporto mutuale. Ed in effetti una piccola ondata di nuova arte britannica esiste, almeno questo è quanto affermano i vertici della Catlin Guide, prestigiosa istituzione britannica che ogni anno pubblica i profili di 40 tra i più promettenti artisti della nazione.
Tra le tante proposte, la guida ha individuato i nomi di Jonny Briggs, Gabriella Boyd, Adeline de Monseignat, Max Dovey, Catherine Parsonage e Alison Stolwood, raggruppandoli sotto l’egida di una YBA 2.0 con meno paillettes e più coesione di intenti e di stile. Certo è che inventarsi una nuova ondata britannica di sana pianta non è un’impresa facilissima ed a guardar bene le opere presentate dagli artisti non vediamo emergere un qualsivoglia manifesto stilistico. Insomma non sempre i movimenti artistici nascono a tavolino.