La Bugno Art Gallery di Venezia inaugura il 10 febbraio la mostra, a cura di Antonio Arévalo, “sognai che sognavo un sogno” dell’artista veneziana Claudia Zuriato.
Questa la sua terza mostra personale in galleria. La prima, in concomitanza con la partecipazione alla rassegna OPEN “immaginaire féminin”, alla cui opera il curatore Pierre Restany assegnò il Premio Internazionale D’Ars. Da quel settembre 2002, la Bugno Art Gallery ha presentato tre personali che hanno testimoniato il percorso creativo di Claudia Zuriato, dall’astrattismo assoluto, al figurativo quasi mistico e surreale: pensieri, anzi “sogni”, sempre tradotti sui supporti (tele, tavole, carte) con un “graffiante” segno al bulino e la capace mescolanza ai colori di fondo di patine opache e lucide, resine e vernici che lei stessa “alchemicamente” inventa di volta in volta.
Dopo l’esperienza a Parigi del 2010 (residenza e borsa di studio alla Citè Internationale des Arts) e una serie di mostre in diverse città europee, San Pietroburgo, Helsinki, Salisburgo, etc., ritorna ad esporre a Venezia, la sua città natale, e nell’occasione presenterà in galleria una serie di nuovi lavori ed un’installazione site – specific.
In questa mostra ci troviamo davanti una molteplicità di interessi che l’artista ha maturato nella consapevolezza del proprio tempo, scrive nel catalogo il curatore Antonio Arévalo, il linguaggio che lei rappresenta echeggia una nuova espressività iconica, una celebrazione continua della memoria.
Una serie d’immagini che ritraggono inedite connotazioni allegoriche e sottolineano la simbolicità evocativa, le idee di accelerazione e sospensione del tempo, seppur legate alla definizione dei soggetti e alla risoluzione formale, sono costantemente indirizzate verso un’attenzione che oltrepassa il dato reale per condurre ad una riflessione su finzione e verità nata da una profonda suggestione letteraria; di fatto s’inscrivono nella poesia della femminilità che l’artista veneziana ricerca tramite la forza iconografica del suo mondo di favole contemporanee, così come attraverso i segni incisi, che emergono dalle superfici scalfite da un bulino, sulla memoria dell’infanzia e gli aspetti dei più diffusi luoghi mentali, contribuendo così a sottolineare un non senso spesso mutuato dalle icone colorate.