La Jarach Gallery di Venezia inaugura l’11 febbraio il progetto Notes On Camp, ciclo di tre mostre che caratterizzeranno la sua programmazione primaverile. L’idea di Andrea Bruciati, che ne è il responsabile scientifico, parte dalle premesse concettuali del celebre saggio di Susan Sontag ponendolo in relazione con la produzione artistica più aggiornata ed evidenziando sia la singolarità che la stringente attualità dei suoi assunti.
The essence of camp is its love of the unnatural: of artifice and exaggeration, dichiarava Susan Sontag (Notes On Camp,1964). Ma di quale artificialità, innaturalità, si può oggi parlare; in un’epoca dove il postmodernismo ha rimescolato le carte di qualsiasi analisi strutturale ed etica concernente la ricerca in ambito estetico, e non solo. Il Camp si colloca in modo ambivalente in questo discorso di potere: è un processo veicolare mirante a la trasgressione/rivoluzione tout-court o un’ambigua pratica nei confronti della cultura dominante, perché si pone all’interno delle sue stesse modalità ed ha come oggetto la rivisitazione dei suoi stessi contenuti? Sta di fatto che un atteggiamento camp ben si adatta alla creatività narcisistica dell’artista che rivendica l’autonomia della sua creatività da ogni infingimento inquinante per poi dover di fatto trovare forme di compromesso plausibili per la sua accettazione. In questo iato si gioca l’affermazione e la personalità dell’autore, indomito nel voler perseguire il suo ideale utopico ma altrettanto pragmatico nel comprendere che solo infiltrandosi nel sistema del reale, è possibile attuare dei mutamenti.
Si tratta, come nel caso di Dragana Sapanjoš, di un soggetto disturbante posto in continua relazione con la sua stessa identità che si concentra sull’alterazione dei sistemi percettivi attraverso l’analisi delle pratiche comportamentali; oppure di un individuo che procede attraverso lacerti di memoria senza consequenzialità apparente, come in Andrea Dojmi, che ipotizza, ricostruendolo, un mondo differente attraverso la valenza emotiva delle sue esperienze. La risultante ancora una volta è una soluzione divergente eppure complementare: la tensione utopica di un futuro in realtà regressivo, contraddistinta nella ricerca di Davide Bertocchi, sembra dare corpo e materia alla tensione e conflittualità di un domani, mentre un recupero antropologico e nomade volto ad una riscoperta identitaria, evidente nelle prove di Daniele Pezzi, fa sì che evapori a contatto con un presente che non offre molte speranze al riguardo.