La scorsa domenica, seguendo l’abituale puntata di Presadiretta su raitre, non ho potuto fare a meno di provare un grande senso di compassione per lo stato in cui versa la nostra cultura. La puntata, intitolata appunto Cultura a Fondo, ha analizzato con perizia alcuni casi singoli, fra cui quello della Pinacoteca di Brera, i quali illustrano al meglio gli sprechi ed i tagli che in questi ultimi tempi hanno serrato la gola dei nostri tesori culturali.
Logico, non ci voleva la televisione per ricordarci che i nostri musei non hanno fondi per esporre e restaurare capolavori d’arte di inestimabile valore. Eppure la vista di quell’orrore non può lasciare lo spettatore indenne. Biblioteche fatiscenti che hanno soldi per comprare solamente dieci volumi al mese, musei che cadono a pezzi e che non hanno spazi per mostrare collezioni ben più grandi di quelle esposte (e parliamo di capolavori che gli altri stati del mondo possono solamente sognare), professioni altamente specializzate come il restauro di opere d’arte che sfioriscono per mancanza di nuove assunzioni, archivi di stato con documenti importantissimi lasciati a marcire nei sottoscala di una scuola elementare.
Tutto questo orrore fa da contrappunto ai soldi che vengono spesi per i centri commerciali, ma oltre a questo io aggiungerei soprattutto gli sperperi per costruire ampliare i musei-carrozzoni di arte contemporanea sparsi per il nostro territorio. Parliamo di spazi enormi, progettati da architetti di grido che nella migliore delle ipotesi vengono lasciati vuoti. La pinacoteca di Brera potrebbe concorrere con il Louvre ma lo stato preferisce costruire cattedrali nel deserto pagando profumatamente le archistar del momento. Ma non è tutto, queste cattedrali vengono poi affidate a direttori con stipendi più che saporiti, con i quali la nostra Pinacoteca di Brera (come qualunque altro museo in difficoltà) potrebbe permettersi una sopravvivenza un poco più dignitosa. Queste mie parole potrebbero sembrarvi mera retorica ma quando la cultura crolla, uno stato non ha più ragione di esistere. D’altronde noi non meritiamo la fortuna che i nostri avi ci hanno lasciato in eredità.
Micol Di Veroli