ICKU ovvero potenziali assassini

di Redazione 1

Quattro lettere. Un bombardamento mediatico, anzi facebookiano, iniziato sotto le vacanze natalizie. Un mistero svelato, sotto giganteschi fiocchi di neve, dallo stesso Giovanni De Angelis (Napoli, 1969 – vive e lavora a Roma dal 1992) durante l’opening della sua prima personale presso la galleria CO2. Artista già noto nella capitale con Water Drops, una serie di scatti presentati recentemente al MACRO e incentrati sul tema della gemellarità per effettuare un’analisi antropologica nella terra brasiliana di Rio Grande do Sul.

Il napoletano propone ora il progetto denominato ICKU (I Can Kill U), nato dalle ricerche antropologiche compiute durante l’Art residence al NOASS Cultural Center di Riga, spostando la sua attenzione sugli abitanti delle città metropolitane. Attualmente, la capitale lettone è attraversata da forti tensioni e cambiamenti sia politici che sociali. Tale clima si sposa bene con la sua indagine sull’interazione tra contesto sociale e l’identità di uno specifico gruppo di individui.

I  protagonisti delle quindici fotografie sono uomini e donne, tra i diciannove e i trentacinque anni, che vivono e lavorano nella città. Persone comuni, soddisfatte a livello lavorativo, ricche sia culturalmente che economicamente, ritratte nel loro ambiente abituale, come la loro casa o il loro ufficio. Tuttavia, a tali ordinarie immagini, dove tutto è perfetto, ne sono contrapposte altrettante di forte impatto emotivo.

Inaspettatamente, gli stessi personaggi, appagati ed equilibrati, diventano presenze anonime oscure: ora impugnano un’arma da fuoco, per vestire, per qualche secondo, i panni di ‘possibili’ assassini. Il singolo soggetto, colto in primo piano su uno sfondo lasciato volutamente fuori fuoco, si trasforma in un criminale che punta la sua pistola verso il fruitore, guardandolo fisso negli occhi. I CAN KILL U sono le ultime parole pronunciate prima di sparare il colpo mortale.

Le istantanee, disposte in modo simmetrico sulle due pareti longitudinali dell’unica sala, formano un quadrato immaginario all’interno del quale lo spettatore diventa il loro bersaglio privilegiato. Si genera uno scambio di ruoli: l’opera da vittima diventa carnefice, mentre il pubblico da avido consumatore si tramuta in un semplice perseguitato. Un’intimidazione che fa riflettere sulla latente possibilità che chiunque, anche la persona più mansueta, potrebbe commettere inaspettatamente delle violenze.

La scelta di utilizzare il bianco e nero e l’accostamento tra scene familiari e luoghi del crimine accentua la drammaticità dell’azione, ponendoci di fronte a vari esempi di quella doppia personalità abilmente raccontata nel celebre romanzo di Robert Luoise Stevenson: ‘Lo strano caso del Dr. Jeckyll e Mr. Hyde’.

Conclude la mostra il testo critico di Costanza Paissan, nonché curatrice del programma, scritto a mano direttamente sulle bianche pareti dello spazio espositivo. Ulteriore collegamento tra il fruitore ed i soggetti degli scatti è prodotto dalla registrazione sonora delle voci dei giovani che raccontano, in inglese ed in lettone, frammenti della loro esistenza: un’atmosfera surreale che favorisce l’immedesimazione nei volti ritratti e nelle loro storie. Causa principale della ricomparsa della pulsione primordiale di morte, Thanatos, è, per De Angelis, lo stressante confronto dell’uomo odierno con una difficile realtà esterna.

 

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