“Difficile entrare nella pelle di questo lavoro, questo perché la meccanica che lo genera si affida non solo al substrato figurativo-narrativo, ma anche ad una logica surreale all’interno di una matrice spaziale che mina la sottostruttura del pensiero. L’iconicità delle opere di XX attiva una qualità transitoria in senso visivo e concettuale. La qualità sommersa della purezza delle linee contestualizza giustapposizioni formali, per quanto riguarda invece il problema dei contenuti, la perturbazione disgiuntiva dona risalto a distinzioni formali”.
Ciò che abbiamo appena pubblicato è lo stralcio di un testo critico. A molti questo sembrerà un bel testo critico, ad altri invece potrà apparire un poco inconcludente ed artefatto. Beh, in realtà questo testo è stato scritto con un generatore automatico di testi critici, praticamente il computer ha mescolato alcuni termini a suo piacimento ed ha scodellato questo prodotto finale. Questo simpatico esperimento, potrebbe aiutarci a comprendere la reale natura di molti testi critici che ci capitano sottomano in questi ultimi tempi. La smaccata inconcludenza di alcuni contenuti, composti mediante il più classico critichese che mai si sia visto sulla faccia del globo terracqueo, riesce ad appiattire il discorso in maniera impressionante. Leggere gli scritti di una macchina o di un essere umano diviene quindi la medesima questione, tanto varrebbe studiarsi il bugiardino di un farmaco o ripassare il codice della strada.
Il critichese è purtroppo una delle più perniciose piaghe dell’arte contemporanea, esso si manifesta quando un progetto espositivo è talmente ermetico (o talmente vuoto) che il suo curatore non riesce a trovare un appiglio concettuale sul quale poggiare la sua teoria. Ed allora che fare? Facile, basta mettersi a vomitare una serie di termini desueti a caso, incastrandoli in modo spavaldo e piratesco. Il lettore medio sarà così colto da un senso di stordimento e molto spesso sarà propenso a formulare tale pensiero: “Questo qui scrive benissimo, non ho capito un acca ma senti che paroloni”. I paroloni rimangono appunto tali, poiché girando attorno alla questione si finisce con il perderla di vista del tutto. Debellare il critichese è un’impresa impossibile, facile invece sarebbe debellare alcuni critici e/o curatori d’arte contemporanea.