“Leggo per legittima difesa.” (Woody Allen)
Contrariamente al nocciolo più profondo del surrealismo, da cui pure Giacometti trae linfa e spunti, nelle sculture dello svizzero il nodo più importante non è la “sovra-realtà”, la surrealtà che trascende e cerca nuovi legami, nuove aperture, nuovi mondi.
Qualcosa qui vuole rimanere ancorato al mondo com’è, vuole che si combaci la rapprentazione alla vita o che la si testimoni. Il contatto con la realtà non è cercato nella perfetta somiglianza ma nel barlume dello sguardo, nella condizione, nello stile: qualcosa che si avvicina più alla scultura egiziana o alla pittura medievale bizantina che non al realismo o al rinascimento.
La condizione umana tuttavia è un tentativo di astrazione dall’uomo, l’uomo non quotidiano oppure l’uomo quotidiano decontestualizzato.
Un tentativo che sposa il fallimento della sua causa in partenza, la copia dell’uomo non è l’uomo, proprio come la non-pipa di Magritte. L’uomo scolpito si getta verso l’assenza del contesto, il vuoto attorno, l’urlo.
Lo scenario di Beckett, le beghe irrisolvibili e senza luogo di Aspettando Godot e di Finale di partita, la vita impossibile da vivere di Watt o di Murphy, infine la scrittura, o meglio l’epica del tentativo di scrittura di se stessi di Malone o dell’Innominato, hanno in comune con questo il fallimento, inteso come propensione all’assoluto intoccabile (data peraltro l’assenza di un Dio che giustifica e realizza il mondo).
Non solo il fallimento del tentativo ma la narrazione dei fallimenti stessi, gli scrittori non riescono a scrivere, i protagonisti non riescono a vivere né a capire il mondo.
Infine il luogo vuoto in cui l’urlo, il dolore, la rappresentazione dell’umana storia si staglia. Luogo vuoto, massimo della purezza, minimo della contaminazione: luogo di parole che ritornano si rimangiano, faticano non riescono a dirsi, si comprendono si elidono, quello che è strano via, togliamo la comunicazione e lasciamo la comunicazione che comunica l’assurdo vuoto impossibile da comunicare.