L’annuncio ufficiale c’è stato: Silvia Evangelisti ha lasciato la guida di Arte Fiera Bologna, dopo anni di indiscussa leadership. La frattura si è verificata proprio prima del break pasquale ma gli attriti tra gli azionisti e la direzione erano nati all’indomani della scorsa edizione della fiera. Come confermato alla stampa nazionale dalla ex direttrice stessa, il rimpicciolimento della fiera e la sempre più cronica mancanza di grandi gallerie (nazionali ed internazionali) rappresentano la miscela esplosiva che ha contribuito a creare un clima di malcontento generale.
Eppure Silvia Evangelisti si era battuta duramente per quel “restringimento” mal digerito, un atto dovuto per snellire una formula troppo esosa. Il problema però non è rappresentato solamente dai tagli alle gallerie ma da una poco elegante sequela di tagli alle spese che va un poco a cozzare con l’idea di lusso espressa dal mercato dell’arte contemporanea. Ci si domanda infatti perché un collezionista internazionale dovrebbe venire in Italia, a spendere i suoi soldi in una manifestazione rimaneggiata, che non offre valide alternative o servizi efficienti. Così è stato, in fiera si è venduto molto poco ma l’ignara Evangelisti afferma che puranco tutte le altre fiere del mondo, tranne Basilea, sono corse ai ripari riducendo il numero di gallerie in “gara”. Una rapida puntatina a Frieze le avrebbe chiarito molti dubbi su cosa significa ridurre una fiera, mantenendo alto lo standard qualitativo. Silvia Evangelisti continua affermando di aver lasciato anche perchè gli azionisti volevano affidarle la direzione degli eventi collaterali in città: “volevano confinarmi, lascio io”.
Io non parlerei di confine, visti i meravigliosi risultati ottenuti dagli eventi cittadini curati da Julia Draganovic negli scorsi anni. Anche quest’anno la formula della brava curatrice è riuscita ad entusiasmare ed ha ravvivato una fiera altrimenti priva di altri eventi collaterali. Del resto, nel mio precedente articolo Com’è triste Bologna, avevo parlato di una formula oramai troppo vetusta e della sempre più urgente necessità di un cambiamento. Forse siamo arrivati al momento della svolta, speriamo solo che Arte Fiera trovi le forze per riguadagnare il terreno perso.
Micol Di Veroli