Richard Long (Bristol, 1945): un nome che rievoca paesaggi lontani, assolati e deserti. Luoghi disabitati ed inaccessibili, dove egli libera la mente lasciandosi ispirare dagli elementi naturali che lo circondano, per esprimere il proprio estro creativo attraverso installazioni ambientali di vaste dimensioni. Dagli anni Sessanta Richard ha iniziato a produrre straordinari interventi di Land Art che lo hanno reso famoso in tutto il globo, allargando le possibilità della scultura fino ad emanciparla nell’uso di nuovi materiali e tecniche innovative.
Long, presente all’opening alla galleria Lorcan O’Neill di Roma, è uno brioso sessantasettenne in splendida forma. In gioventù ha frequentato prima il West of England College of Art e, successivamente, la St. Martin’s School of Art di Londra. Ha partecipato a numerose mostre in tutto il mondo, perfino in Oriente. Già consacrato come una delle icone della propria generazione da importanti istituzioni museali, come il Guggenheim Museum di New York o la Tate Gallery di Londra, che gli hanno dedicando recenti retrospettive. Nel 1976 venne scelto come artista rappresentativo della Gran Bretagna alla XXXVII° Biennale di Venezia. Ha ricevuto numerosi premi tra cui il Turner Prize nel 1989. Infine, nel 1990 il Governo Francese lo ha nominato ‘Chevalier dans l’Ordre des Arts et des Lettres’.
Fin dai suoi esordi si è servito della macchina fotografica e del testo scritto per l’esigenza di documentare le sue effimere azioni, soggette, nel tempo, a possibili alterazioni. L’ artista, affezionato a Roma e alla galleria Lorcan O’Neill, che ospita i suoi lavori per la quarta volta in neanche dieci anni, ha scelto di presentare nella mostra Text Work – 1990 to 2012 una serie di opere inedite rispetto a quelle esibite in passato.
Undici text work, appesi nell’accogliente ed ampio salone, raccontano le camminate compiute negli ultimi 22 anni in Inghilterra, Francia, Italia, Grecia, Irlanda e Sud America. Un resoconto dettagliato, composto da brevi locuzioni, i cui singoli vocaboli sono accostati perseguendo una ricerca accurata. Lavori linguistici assimilabili a componimenti poetici, interessanti dal punto di vista formale, nati con l’intento di trasportare mentalmente lo spettatore nel sito narrato. L’evocazione delle lande desolate fa rivivere nel fruitore le sensazioni provate dallo scultore, fino all’immedesimazione e l’identificazione del pubblico nell’autore e quindi nell’opera d’arte stessa.
Nel 1969 il britannico espose il primo text work nella celebre rassegna concettuale When Attitudes Become Form curata da Szeemann alla Kunsthalle di Berna. Da allora, ha continuato ad elaborarne molti altri fino al recente Mendoza Walk, riferito all’ultima passeggiata effettuata in Argentina. Presso l’esiguo spazio dello Street View il componimento testuale, applicato direttamente sulla parete, è accompagnato dall’installazione site-specific Trastevere Spring Circle (pietra di serpentino italiano, 2012) costituita da un cerchio di pietre longitudinali posizionate sul pavimento bianco. La scelta di custodire l’opera in questa sorta di teca, inaccessibile al pubblico e visibile solo dall’esterno, amplifica la sua bellezza e la sua aura.
Nel cortile di fronte alla location, accanto a calici colmi di vino, è situata in un angolo Trastevere Spring Line (pietra di serpentino italiano, 2012). Una struttura realizzata, anch’essa, appositamente per l’esposizione capitolina. Parallelepipedi di rocce di colore grigio scuro, poggiati verticalmente a terra e accostati tra loro creando una piccola muraglia di modesta altezza a base rettangolare, rappresentante l’ipotetica linea che sancisce l’inizio della stagione primaverile. Simbolo della rinascita e, soprattutto, del perpetuo ritorno di Long alla natura, dell’impossibilità di allontanarsene definitivamente. Tuttavia, l’accostamento degli interventi territoriali con i lavori letterali esplicita quel serrato dialogo che li rende inscindibili. Approcci diversi che richiamano, entrambi, forme geometriche archetipiche, memorie universali, iconiche e testuali, espresse attraverso materiali locali, utilizzati per evidenziare l’intrinseco rapporto esistente tra l’individuo ed il suo habitat.