Come spesso succede dalle nostre parti, quando un regista riceve un successo inaspettato con una sua pellicola, anche le sue opere precedenti vengono ridistribuite. Anche con Steve McQueen è andata più o meno così. Parliamo ovviamente di una nostra vecchia conoscenza, visto che McQueen è anche uno dei più acclamati protagonisti dell’arte contemporanea. Nel 1999 si è aggiudicato il prestigioso Turner Prize e nel 2007 ha esposto alla Biennale di Venezia, sino a giungere al tripudio del 2009 dove sempre in laguna ha occupato il Padiglione Britannico, proponendo un film che vedeva come protagonisti proprio i Giardini di Venezia, visti nel periodo precedente l’esposizione, evidenziando così la differenza tra i sei mesi che ogni due anni vedono quella zona protagonista, e i rimanenti diciotto, dove la desolazione regna sovrana.
Noi quindi conoscevamo McQueen, i borghesucci del cinema italiano dovevano ancora scoprirlo e lo hanno fatto con Shame, pellicola che ha stuzzicato i pruriti porno di chi non ha il coraggio di guardare un porno. Il durissimo film con un Michael Fassbender malato di sesso. Dopo il successo di Shame, ecco che si è deciso di far uscire anche Hunger, pellicola del 2008 che di fatto è un vero capolavoro, un’opera straordinaria capace di oscurare il pornazzo mascherato che gli ha fatto da traino. Un Michael Fassbender sugli scudi interpreta Bobby Sands, attivista nordirlandese volontario della Provisional Irish Republican Army, nonché istigatore della Blanket Protest e della No Wash protest nel duro carcere di Long Kesh dove era stato rinchiuso con l’accusa di possesso di armi da fuoco e condannato a 14 anni di carcere.
Con l’obiettivo di produrre un nuovo flusso di attività dell’IRA, Sands innescò uno sciopero della fame ad oltranza che terminò con la sua morte dopo 66 giorni il 5 maggio del 1981. Oscuro, asettico e lacerante, Hunger è un film che poggia sui 22 minuti di dialogo nella parte centrale, una scena che ha richiesto mesi di dure prove. Nel resto della pellicola i dialoghi sono ridotti all’osso, tutto si poggia sulla meraviglia delle immagini che McQueen agghinda di inaspettata poesia. Bobby Sands diviene una sorta di Cristo martire, pronto ad immolarsi per la libertà ed è qui che scopriamo l’estetica dell’orrore, la lacerazione della carne che in qualche modo nasconde una sinistra bellezza. Come già successo con Shame, McQueen non ci risparmia nulla. Ma Hunger è decimante un film diverso.