“Se non c’è un committente non è che mi metto a produrre nuove opere. E ora ho deciso di smettere. Dopo il Guggenheim voglio prendere una pausa, che da come la vedo è definitiva. Per quanto tempo dobbiamo dimostrare chi siamo? Personalmente so già chi sono cosa sono in grado di fare e cosa no. Magari adesso potrei cominciare a fare il pittore. Non so disegnare, ma posso far dipingere qualcun altro. Del resto il più bravo scalatore del mondo è senza una gamba.”
Maurizio Cattelan (Io Donna del 15/10/2011)
La mostra che conclude la stagione di Casabianca è dedicata al tema dell’epilogo. Ma nell’epilogo può rivelarsi il prologo di una nuova esperienza. Darth ha proposto a otto giovani artisti che si trovano all’inizio della propria carriera di produrre un loro “ultimo lavoro”, cercando di innescare un meccanismo in cui ciò che è naturalmente ultimo nell’ordine dei pensieri diventi improvvisamente il primo. La questione dell’“ultimo lavoro” invita a letture diverse: un’opera definitiva in cui si condensano gli elementi imprescindibili di una ricerca, oppure l’occasione in cui sperimentare con l’immaginazione ipotetici cambiamenti di percorso. Ma “ultimo” è un aggettivo che può evocare anche la dimensione collettiva, quando le condizioni generali potrebbero essere radicalmente diverse. Per questo motivo, alla base di tutto ciò c’è una considerazione: l’attività artistica malgrado tutto tende a essere vissuta da chi la svolge come un lavoro “ultimo” dal punto di vista gerarchico, dopo la serie di impegni indispensabili alla sussistenza. Svolgere una riflessione sulla fase conclusiva della propria carriera significa interrogare indirettamente il problema della sostenibilità della professione artistica nel lungo periodo e aprire a questioni più generali: il proposito è di parlare della fine senza essere finali.
Nella citazione di Cattelan siamo invitati a riflettere sulle condizioni di ricezione dell’opera contemporanea, che è sostanzialmente a tempo determinato. Superato un concetto idealistico dell’arte, siamo più che consapevoli che artisti non lo si è per destino ma per scelta. Annullata l’esigenza della lunga durata in favore dell’hic et nunc, non ci si rapporta più con l’eternità, con una permanenza oltre se stessi. Se l’artista pretende di avere un ruolo in un sistema di relazioni calibrato su questi parametri può sentirsi provvisorio, e il concetto di ultimo sottolinea appunto la dimensione di provvisorietà in cui viviamo.
Sara Benaglia / Valentina Brenna / Curandi-Katz / Ozan Emre Han / Gabriele Garavaglia / Alia Scalvini / Emanuele Serafini / Marcello Spada
Inaugurazione domenica 17 giugno dalle 17.30