La domanda potrebbe sembrarvi ardua, ma noi abbiamo voglia di farvela lo stesso: Può la performance art essere rimessa in scena e mantenere inalterato il suo potere? Molti di voi a questo punto saranno già rimasti basiti, ma come la performance art si può anche rivedere? Certo, anzi in realtà si può anche vendere. Già, almeno Tino Sehgal ci è riuscito, visto che la sua performance Kiss (2003) è stata acquistata qualche tempo fa dal MoMa di New York per una cifra a cinque zeri.
Ovviamente Sehgal non ha venduto la documentazione ma l’intera performance, che in futuro il MoMa potrà rimettere in atto seguendo le informazioni (incredibilmente dettagliate) fornite dall’artista che le ha sottoscritte di fronte ad un notaio. Molte piece storiche, e pensiamo a quelle di Yoko Ono, Gina Pane, Vito Acconci, Marina Abramovic e compagnia cantante, sono incentrate sulla figura del performer e sull’irripetibilità del momento creativo. Proprio Marina Abramovic però in Seven Easy Pieces (con la rimessa in scenadelle celebri performance storiche realizzate negli anni ’60 e ’70 da Vito Acconci, Joseph Beuys, Valie Export, Gina Pane e Bruce Nauman) ci ha fatto comprendere che il restaging di una performance può essere interessante sia sotto il profilo creativo che didattico. Basti pensare al fatto che con Seven Easy Pieces le nuove generazioni hanno avuto la possibilità di ammirare ciò che è successo anni e anni prima della loro nascita.
Molti potrebbero dire che la performance non è un fruibile come un dipinto o una scultura, essa è di natura effimera e non può essere trattata come un “oggetto”. Una performance esiste in un determinato momento storico, in un contesto politico e sociale ben determinato. Rimetterla in scena potrebbe non tramandare lo stesso messaggio al fruitore. Sarebbe quindi un depotenziamento in termini, ma almeno si avrebbe l’opportunità di fruire ciò che altrimenti si potrebbe ammirare solo tramite video, foto ed altre documentazioni.