C’è ancora spazio per la vera critica d’arte in Italia? La risposta è no, la critica in genere è qualcosa che appartiene al passato, un elemento necessario di cui però ci si vergogna, al punto da nasconderlo, insabbiarlo. Già, la critica musicale è spesso manipolata dai grandi brand discografici che tendono ad ingraziarsi i favori del recensore di turno. Stessa sorte tocca alla critica cinematografica, fiaccata dalle troppe major.
Visti i propositi, l’arte contemporanea non poteva far altro che accodarsi. Il problema è il seguente, il critico che si appresta a scrivere la sua bella recensione sull’evento a cui ha presenziato si pone questa semplice domanda: “Come giudico la mostra di tizio nella galleria di caio? Dunque, caio è un gallerista con cui lavoro e tizio è un artista amico di amici. Dopotutto tengo famiglia e devo pur continuare a lavorare nel mio piccolo orticello. Sai che faccio, rimpasto il comunicato stampa e ci metto quattro frasi ad effetto infarcite da qualche citazione filosofica. Così tutti sono contenti e mi chiamano pure per ringraziarmi”. Il meccanismo è sempre lo stesso, per cui il cane non morde l’altro cane e le giornate scorrono placide senza troppi intoppi. A volte però è il direttore della testata a chiedere al critico di turno di non calcare troppo la mano e di scrivere meraviglie anche se la mostra è una ciofeca orripilante. Del resto i galleristi sono pure inserzionisti e se si perdono questi ultimi, il magazine rischia di chiudere i battenti.
Con questa politica del “tutto è bello e tutto ci piace” abbiamo appiattito la nostra scena creativa su di un’unica scialba superficie. I nostri artisti vivono in questo mondo bidimensionale, ignari dell’esistenza del mondo a tre dimensioni che li attende al di fuori dei nostri confini. Coccolati nella nostra Flatlandia, continuiamo ad illuderci di essere noi i veri creativi e la critica in tutto questo non può far altro che peggiorare le cose.