Dalle nostre parti pittura e scultura sono divenute una metafora, anzi una banalità. Una massa informe di critici ed addetti del settore anemici ed annoiati ci ha da tempo convinto che essere un pittore equivale ad essere un reazionario, essere scultore significa essere un retrogrado, uno zombie che attende solamente il classico colpo in testa. Insomma usare le mani per creare è roba da mummie egizie. Meglio buttare tre pezzi di metallo per terra o spargere bucce di banane per poi farsi supportare da un testo inconcludente redatto dal curatore di turno. E’ così che ad ogni mostra si ripete il miracolo del vuoto, un buco nero che ha di fatto inghiottito il povero visitatore, costringendolo ad abbandonare le mostre d’arte contemporanea. Eppure dovete sapere che a Londra la pittura e la scultura vanno fortissimo, durante la settimana di Frieze ad esempio sono state regine incontrastate. Gallerie private come Hauser & Wirth hanno puntato su Rita Ackermann, la Pace Gallery su Rothko. La Serpentine Gallery ha dedicato una grande mostra a Thomas Schutte, la Whitechapel a Mel Bochner, per non parlare dei preraffaelliti alla Tate. Insomma, la lista sarebbe ancora lunga ma è inutile ribadire l’amore che i britannici nutrono per le arti immortali. E noi italiani, con le nostre mostre spocchiose? Non ci resta che rimpiangere i bei tempi andati, quando il coraggioso Achille Bonito Oliva rilanciava la pittura transavanguardista in barba ai detrattori ed alle malelingue.