William Klein+Daido Moriyama alla Tate Modern di Londra, fino al 20 gennaio 2013.
New York. Strisciare per le strade della metropoli. Scattare fotografie e sentirsi libero. Stile urgente, sfuocato, sporco. Immagini sovra-esposte e fuori fuoco che testimoniano un condiviso rifiuto della pretesa di oggettività del mezzo fotografico. Scatti rumorosi, frenetici, esagitati. Scorci, dettagli, folle, cartelloni pubblicitari, cortei, Vogue. William Klein. Underground privo di ogni accademismo. Come un etnografo tratta i newyorkesi come se fosse un esploratore. Un bambino gioca con una pistola, le mani e il volto sporche di polvere da sparo; una giovane donna ostenta il suo sorriso mentre un vecchio signore alle sue spalle mostra la sua stanchezza di vivere; bagnanti grasse mostrano i loro corpi senza alcuna timidezza; la folla si accalca nella Parigi turbolenta del 1968 ; l’eleganza sfila nelle strade di Roma; un sole nero sovrasta i cieli di New York. William Klein non possiamo collocarlo in una corrente né in un determinato movimento artistico. E’ artefice di una nuova visione che rompe tutti gli schemi portati avanti dalla fotografia ; è il primo astrattista a rompere il gioco formale e a raggiungere quella realtà cui alla fine della guerra, attraverso i principi di eleganza, misura e distanza promulgati da Cartier-Bresson, si tentava di girare le spalle. Klein parte dal caso per organizzare il disordine. Lascia cadere il mito dell’obiettività e provoca una sorta di automatografia della strada. “Gravitavo verso l’anti-arte, perché non fare l’anti-foto?”. Gioca al paparazzo trattando l’avvenimento come se fosse scopo. Lancia una bomba e muta radicalmente l’immagine che si aveva allora del mondo inventando l’action photography.
TOKYO. Un viaggiatore solitario. Una ricerca quotidiana senza fine. Immagine dai bianchi e neri contrasti spesso sfocate, graffiate, sovrapposte e sgranate che tracciano i contorni di un’esistenza priva di legami con il luogo d’origine. Daido Moriyama. Ogni cosa che si offre al suo sguardo è degna di essere fotografata: non è importante il soggetto né che sia l’autore perché non c’e’ differenza tra la realtà vissuta e la realtà nell’immagine, ciò che conta è il frammento d’esperienza, parziale e permanente che solo la fotografia può trovare e quell’unica verità che esiste solo nel punto in cui il senso del tempo del fotografo e la natura frammentaria del mondo si incontrano. Dettagli che parlano, toccano; visioni sobrie ed intense. Labbra rosse che si scontrano contro vetri; gambe incastrate da collant a rete; nudi solitari; abbracci incompresi; paesaggi solitari. La superficie esteriore che appare ai suoi occhi costituisce uno stimolo che scatena in lui un impulso, una reazione. “Io cammino per le strade della città con la macchina fotografica costantemente bombardato da stimoli. Con la mia macchina riesco a riprodurre una reazione a questa molteplicità di sollecitazioni e a rispondere ad essi”. William Klein+Daido Moriyama. Hanno fatto il contrario di quello che si faceva quando si pensava che un diverso rapporto con l’apparecchio avrebbe permesso di liberare l’immagine fotografica. Perché l’apparecchio può sorprenderci. Dobbiamo solo aiutarlo!
di Alessia Avallone