Il dibattito è sempre lo stesso, molti sono concordi nell’affermare che negli ultimi tempi il mercato, con le sue gallerie e le sue mille fiere, ha teso una trappola alla natura sperimentale dell’opera d’arte. In realtà mercato ed arte vanno a braccetto dall’alba dei tempi e senza compravendite e committenze la creatività non sarebbe di certo giunta al livello attuale. Il problema risiede forse nella “commercializzazione” di determinate realtà istituzionali.
I musei innanzitutto dovrebbero rappresentare dei veri e propri templi dell’arte mentre tutti ben sanno che questi spazi fungono oramai da amplificatori del mercato. Se si vuole far crescere le quotazioni di un determinato artista non bisogna far altro che gettarlo all’interno di un museo. Ecco perché molti direttori sono (o sono stati) dealers e galleristi, un conflitto di interessi che nel mondo dell’arte è divenuta una normale consuetudine. Il camaleontico Jeffrey Deitch ha chiuso la sua galleria per prendere in mano le redini del MOCA di Los Angeles, in realtà ha mantenuto i suoi contatti ben saldi. Massimiliano Gioni, curatore della prossima Biennale di Venezia, si occupa anche del New Museum e della Fondazione Trussardi. John Elderfield è passato dalla curatela del MoMA alla Gagosian Gallery ed Eric Shiner, direttore dell’Andy Warhol Museum è anche l’organizzatore della sezione American Focus del prossimo Armory Show. Insomma, La lista dei conflitti sarebbe molto più lunga di questa e dalle nostre parti le cose vanno persino peggio. Sebbene il mercato sia parte integrante dell’arte, non è detto che si debbano per forza di cose creare situazioni al limite della massoneria.