Continuiamo a pubblicare i progetti presentati dai magnifici 7 curatori al ministro per i Beni e le attività culturali Lorenzo Ornaghi che ha poi scelto quello di Bartolomeo Pietromarchi. Ecco quello di Andrea Viliani:
Politica e società per un manifesto collettivo
Ristabilire le relazioni fra arte, storia, politica, economia, società; indagare nozioni di trasversalità e partecipazione; esplorare il problematico equilibrio fra ambiente e modernità e l’uso ricorrente dell’ironia in un Paese pasolinianamente privo di «rabbia» e quindi di «lotta di classe»; aprire un’analisi sulle rappresentazioni di genere e sulle pratiche femministe; dare spazio a quegli approcci che potremmo definire antropologici e archeologici al contemporaneo… Su questi temi potrebbe lavorare un curatore della mia generazione invitato, come mi è accaduto, a presentare un progetto per il Padiglione Italia. Le ultime generazioni di artisti e curatori tendono a non riconoscersi nella storia italiana che ci è stata raccontata, a intuire l’esigenza di una storia diversa che spieghi come siamo finiti nell’attuale reality. E per far questo occorre integrare e aggiornare le narrazioni dominanti. Sovrapporre due approcci — uno più museale/archivistico, l’altro più performativo, dialogico e di (re)azione: in questo modo il Padiglione torna a ricordare, a interrogarsi su come documentare i molteplici sviluppi dell’identità artistica italiana; dall’altro esso è chiamato a immaginare, su questa base, lo scarto che individua caratteristiche e potenzialità della contemporaneità. Molteplici esperienze nell’arte italiana sono basate su una relazione con la realtà e mettono in discussione il luogo comune che vuole l’artista italiano intento solo a coltivare una mitologia individuale o appartenente a un movimento definito: una storia complementare, fondata su mitologie collettive e preoccupazioni comuni e, quindi, potenzialmente (ri)aggreganti, fa emergere un profilo più responsabile dell’artista italiano. Occorre dare agli artisti la possibilità di redigere un manifesto collettivo, incontrare il pubblico in una «zona» di negoziazione, sperimentare dal vivo e delineare un’immagine in tempo reale della nostra identità che restituisca all’arte italiana presente e passata la sua dimensione più «critica» e più «pubblica». Nel Padiglione Italia che immaginavo, quindi, Mauri (sopra: L’intellettuale, 1975, l’immagine di Pasolini senza camicia sul cui petto è proiettato il suo film Il Vangelo Secondo Matteo), Chiari o Vaccari coesistono e dialogano con Rossella Biscotti o Adelita Husni-Bej o Claire Fontaine, Ghirri o Gilardi con Petrit Halilaj o Yuri Ancarani, ma anche La Rocca con Ontani, Pistoletto con Sottsass, Baruchello con… Aprire, insomma, più o meno come dicevano nel 1980 Bonito Oliva e Szeemann.
Andrea Viliani