Ci siamo messi in un bel guaio ma non possiamo darne la colpa a nessuno, siamo noi responsabili di ciò che abbiamo generato negli ultimi tempi all’interno della nostra scena artistica. Problema: il nostro sistema dell’arte ha fagocitato se stesso cannibalizzando centinaia di giovani promesse, mandandole allo sbaraglio come carne da macello e perdendo attendibilità nei confronti dei collezionisti e del pubblico.
La figura dell’artista in Italia è persa in una densa nebbia in cui non si riesce nemmeno ad intuire i contorni ed il senso delle cose, si intravedono sempre più nuovi talenti (dal discutibile valore) sbandierati come maestri indiscussi che scompaiono senza lasciar traccia del loro passaggio. Il fatto ancor più stravagante è che alcuni fra i più promettenti di loro riescono a partecipare a prestigiose manifestazioni nazionali, vincendo ambiti premi per l’arte contemporanea per poi ripiombare in un’oscura girandola di concorsetti provinciali e mostre in gallerie aperte da poco che si lasciano affascinare dal prestigio dei bei tempi che furono. Ed allora viene da chiedersi chi mai comprerebbe le opere di una cometa destinata a bruciare?Questo fiacco e misero circolo artistico limitato al nostro quartierino è cominciato circa una decina di anni fa, terminati i fasti dell’arte povera, della scuola romana e della transavanguardia, quando uno sprovveduto sistema critico e curatoriale votato alla marchetta ed un nugolo di gallerie d’arte ancor più sprovvedute (che hanno aperto e chiuso i battenti nel lasso di tempo di una domenica ed un lunedì), hanno immesso nel nostro sistema una miriade imprecisata di artisti o presunti tali, supportati dal mezzo digitale e da testi critici pervasi dal parlar forbito che tessevano lodi a profusione su questa o quella sperimentazione artistica sopraffina. In poco tempo a chiunque fu concesso l’onore di una mostra personale in galleria senza aver prima fatto un poco di gavetta o quanto meno aver affinato le proprie tecniche creative. Le stesse gallerie e gli stessi critici hanno poi sistematicamente abbandonato a se stessi quei poveri e flebili artisti e con essi i loro incauti collezionisti che si ritrovano ora con un pugno di mosche e la paura di tornare ad investire nell’arte. Ed ora, in questi tempi di crisi, è inutile sbandierare un ritorno al rigore ed al valore.
Troppo facile ora seguire la moda della sobrietà e proclamare: abbiamo sbagliato: dobbiamo lavorare meno e con più qualità. Basta con i curatori, basta con i vernissage tramutati in pantagruelici banchetti di nozze. Basta con gli artisti della domenica. Basta sono parole dette al vento, ormai più nessuno ascolta. La critica è fatta di parole, adesso ci vogliono i fatti.