Quando un collezionista è entrato casualmente nella William Havu Gallery di Denver il gallerista ed il suo assistente erano al settimo cielo. Il visitatore aveva infatti concluso l’acquisto di un grande dipinto per svariate migliaia di euro In altri tempi la vendita sarebbe rientrata nella routine del triangolo d’oro di Denver ma in un periodo di forte crisi dove ad esempio la galleria Havu ha perso il 40 per cento delle vendite, una vendita del genere è salutata con grande sollievo.
Faccia a faccia con quella che è stata più volte definite la grande recessione anche la ricca città Americana si è trovata impreparata ed ora deve contare i suoi feriti, 120 gallerie che negli ultimi anni sono ridotte all’osso. “Non voglio fare nomi ma ho sentito alcuni galleristi, gente che di solito non lascia trapelare nulla, parlare di quanto siano andati male gli affari quest’anno e penso che questo genere di cose si sentano solo quando ci si trova in tempi di estrema ristrettezza” Ha ultimamente dichiarato Ivar Zeile della Plus Gallery. Ma non bisogna certo recarsi a Denver per comprendere quanto la crisi sia solo agli inizi. Anche in Italia molti galleristi stanno correndo ai ripari, si cerca di limitare le spese ed anche le migliori gallerie (quelle che sembravano incrollabili) hanno dovuto aggiustare il tiro per non soccombere. Si fa meno talent scouting e si cerca di promuovere artisti che hanno quantomeno più possibilità di vendere. Si concentrano le forze per le fiere che danno più visibilità ( anche se molte gallerie si sono lamentate dell’assenza di nuovi contatti alle ultime fiere italiane).
Si eliminano rinfreschi pantagruelici ai vernissage e persino i cataloghi vengono sostituiti da asciutti comunicati stampa fotocopiati. Invero non esiste più neanche il testo critico poiché molte gallerie hanno deciso di non assoldare curatori. Si espongono pezzi vendibili e di dimensioni ridotte (quindi meno videoarte, meno performances ed installazioni di larga scala). Infine non si stampano inviti (con gran beneficio per l’ambiente) e si usa Facebook per pubblicizzare gli eventi. Se si andrà avanti di questo passo anche gli artisti verranno tagliati e rimarranno le bianche mura della galleria ad accogliere alcuni avventizi in cerca di un bicchiere di vino rosso ed una manciata di noccioline del discount. Ma non è detto che questo sia un male.