In tempi non sospetti il celebre pensatore ed artista Guy Debord ci aveva messo in guardia contro il potere dello spettacolo, un rapporto sociale e culturale tra individui mediato da immagini vuote e figlie del consumismo di massa, una sorta di assoggettamento psicologico in cui ogni individuo è isolato dagli altri ed assiste passivamente ad un monologo elogiativo dello spettacolo stesso. Ovviamente per spettacolo intendiamo riassumere in questa sede il sistema dell’arte contemporanea italiano e tra i burattinai di questo enorme carrozzone, oltre le istituzioni, figurano anche i curatori d’arte, specificando che persino la scrivente potrebbe tranquillamente farne volontariamente od involontariamente parte.
Ma andiamo per gradi ed analizziamo in cosa consiste questo spettacolo. L’opera d’arte, un tempo padrona assoluta della manifestazione creativa dell’uomo è divenuta un accessorio, un semplice orpello schiavo di estetiche e stilemi propri di un minimalismo banale e di un concettuale svuotato da ogni minimo concetto. Eppure l’opera è un accessorio indispensabile, poiché senza di essa l’artista non esisterebbe ed il curatore non potrebbe organizzare il suo bell’evento. L’opera e l’artista o per meglio dire l’artista è l’opera dato che quest’ultima nella sua flebile natura, viene inevitabilmente sommersa dalla presenza ingombrante di artisti pseudo-rockstar che incessantemente appaiono sulle copertine dei magazine d’arte e puntualmente vincono i premi artistici con il loro curriculum od il loro nome. L’opera non partecipa nemmeno ad un’ipotetica mostra, la sua funzione è solo quella di oggetto che deve essere interpretato da un curatore il quale, a sua volta (finalmente), realizza l’opera vera e propria mediante il famigerato testo esegetico. Generalmente nel testo curatoriale non vi è traccia della forma dell’opera, dei suoi colori o della sua presenza nello spazio ma è tutto un fiorir di accezioni contorte ed estrose che ammantano di mistero e coprono di affascinanti simboli le suddette insulse creature, le quali hanno così un estremo bisogno del critico/curatore per reclamare il loro diritto all’esistenza.
In questo la società dello spettacolo dell’arte compie il suo più efferato delitto, esaltando l’appiattimento culturale e svilendo il prodotto creativo della mente umana. Le mostre d’arte contemporanea sono colme di gente che sorseggia vino all’esterno della galleria e di addetti del settore che devono per forza presenziare all’evento per riaffermare il loro ruolo all’interno della società dello spettacolo. Nessuno realmente osserva le opere ma tutti assistono allo spettacolo.
Se guardiamo attentamente la storia dell’arte scopriamo che ogni grande movimento artistico è nato per sovvertire uno status preesistente e sinceramente i tempi sono maturi per una nuova rivoluzione. Staremo a vedere se la scrivente, come altri suoi colleghi, farà parte del cambiamento o da esso sarà cambiata.
Micol Di Veroli