Come ci ha fatto notare il celebre magazine online Artinfo, ultimamente la scena contemporanea indiana ha letteralmente messo il turbo, invadendo numerose piattaforme espositive e di tutta la Francia. Attualmente il Grand Palais di Parigi ospita il grande Leviathan di Anish Kapoor. Tutti i quotidiani internazionali hanno parlato di un’installazione a dir poco sensazionale, una sorta di enorme grembo primordiale che può essere esplorato anche nel suo interno.
Sempre a Parigi, inoltre, il Centre Pompidou inaugurerà il prossimo 25 maggio (fino al 19 settembre 2011) la mostra Paris, Delhi, Bombay un vero e proprio megaevento con 50 artisti, attivi in India e in Francia, che proporranno il loro punto di vista sui profondi cambiamenti all’interno società indiana contemporanea, focalizzandosi su questioni politiche, identitarie, di sviluppo urbano.
Nel mentre anche la Galerie Duboys di Parigi ha intenzione di aprire il prossimo 20 maggio una mostra dal titolo This is Not That, interessante panoramica sul lavoro di alcuni talentuosi fotografi indiani tra cui svettano i nomi di Swapan Parekh, Soham Gupta e Mahesh Shantaram. Del resto non abbiamo mai tentato di nascondere il progressivo inserimento di artisti indiani all’interno di contesti internazionali, basti pensare al grande Subodh Gupta che tra Biennali e mostre all’interno dei musei è ormai riuscito a piazzare le sue caratteristiche installazioni costituite da pentole e oggetti comuni in tutti le sedi più prestigiose del panorama artistico.
La Francia non è però l’unica nazione ad essersi resa conto del potere creativo proveniente dal versante indiano tanto che quest’anno la Biennale Di Venezia ha istituito per la prima volta un Padiglione dedicato a questa gloriosa nazione. A rappresentare la loro nazione saranno presenti Zarina Hashmi, rappresentante della storia artistica indiana post-partizione e parte della diaspora; Praneet Soi, vero e proprio esponente di nuove esperienze transculturali; Gigi Scaria, che esprime elaborazioni e sintesi della migrazione interna e The desire machine collective che mostrano come si può essere cosmopoliti senza vivere in grandi città. Insomma l’India è partita alla riscossa, ora non resta che attendere di vedere queste interessanti proposte in Biennale.