Da più di dieci anni il ritratto è un motivo centrale nella ricerca artistica di Candice Breitz: la definizione dell’individuo è osservata, in relazione alla collettività come nella propria solipsistica interiorità, attraverso l’utilizzo del video documentaristico o di archivio, per lo più inserito in precise installazioni dalla presenza scultorea.
Il 30 maggio negli spazi principali della galleria KAUFMANN REPETTO di Milano si inaugura Factum, una video installazione composta da 7 coppie (e, in un caso tre) di schermi al plasma, corrispondenti ciascuna a una coppia (o a un trio) di gemelli, dei quali viene presentato una sorta di ritratto multiplo, che si snoda attraverso un doppio procedimento di identificazione e differenziazione. Come Factum1 e Factum2, i due dipinti – a prima vista identici, ma ricchi di differenze a un’osservazione attenta – che Robert Rauschenberg realizzò nel 1957, ciascun intervistato si rivela come un facsimile imperfetto del proprio gemello.
Per produrre Factum Candice Breitz ha condotto, in uno spazio domestico designato dai protagonisti del video ai quali viene chiesto di vestire allo stesso modo, delle lunghe interviste a coppie di gemelli omozigoti di Toronto e dintorni. I dialoghi, avvenuti separatamente con un fratello e poi con l’altro, affrontano argomenti per lo più legati alla famiglia e al rapporto con il proprio gemello, ma il risultato è lo sviscerarsi di un sistema di relazioni tra il soggetto e la società, che porta a una definizione dell’identità personale basata sulla differenza.
Attraverso il montaggio delle riprese, Candice Breitz enfatizza i tratti individualizzanti che contraddistinguono ciascun gemello, messo a confronto con un altro da sé il più possibile somigliante, in termini fisici ma anche esperienziali. I risultanti dialoghi ‘in differita’ tra i gemelli rivelano un relativismo profondo che contraddice una visione del sé come entità definita, affermando piuttosto un processo di autoaffermazione che passa attraverso il confronto con l’altro. Il rapporto con la telecamera, così come il tono delle conversazioni (da cui peraltro la voce di Candice Breitz è del tutto esclusa) è sempre diverso, variando dall’intimità al pudore, da una coinvolgente emozionalità a un approccio più razionale e distaccato. Lo spettatore assiste, di volta in volta, a una seduta psicanalitica, a una confessione, a una narrazione. A orchestrare e intrecciare questi flussi di coscienza è in tutti i casi il punto di vista dell’artista, che struttura le immagini in modo da far emergere menzogne, visioni distorte della realtà, versioni contradditore dello stesso soggetto, innescando un meccanismo smascherante che sfocia in esiti comici e a tratti drammatici.
In un’altra stanza è presentato per la prima volta The Character, una sorta di ritratto collettivo ‘in assenza’, girato con i bambini di una scuola di Bombay. A ognuno di questi è stato chiesto di vedere un diverso film prodotto a Bollywood, ciascuno dei quali pone un bambino al centro di un’avventura che vede il piccolo protagonista immancabilmente alle prese con un destino avverso. Il video The Character è una giustapposizione delle descrizioni che i bambini danno dei diversi protagonisti dei film. L’artista svela in questo modo una prepotente omologazione dell’individuo/eroe che, a partire dall’industria cinematografica, sembra pervadere la visione intera del mondo. In tutti i casi la definizione dell’identità – personale o pubblica che sia – sembra non poter prescindere da un universo di implicazioni psicologiche, sociologiche e antropologiche, che, assieme a una buona dose di ironia, sono tra gli elementi costitutivi che fanno del lavoro di Candice Breitz un multiforme e sfaccettato ritratto dell’individuo e della società in cui vive.