In Deed: certificati di autenticità nell’arte

di Redazione Commenta

L’opera esiste anche se non esiste? E’ sufficiente che il suo autore ci inviti a intendere come opera qualcosa che non ha niente di materiale, come un pensiero, un progetto o un’azione? Questa domanda è al centro della mostra In Deed: certificati di autenticità nell’arte, che si terrà dal 13 ottobre al 6 novembre nella Galleria di Piazza San Marco della Fondazione Bevilacqua La Masa.

La mostra, curata da Susan Hapgood e Cornelia Lauf, investiga il significato dei certificati di autenticità nel sistema dell’arte contemporanea, soprattutto a partire dagli anni ’60, quando tali certificati hanno iniziato a accompagnare opere che non esistono fisicamente, bensì consistono in performance, opere concettuali, o istruzioni per realizzare l’opera a distanza. L’esposizione è stata precedentemente allestita presso De Kabinetten Van De Vleeshal, Middelburg, Olanda; successivamente sarà ospitata presso le seguenti sedi: KOHJ International Artists’ Association, New Delhi; Mumbai Art Room, Mumbai; Nero HQ, Roma; John M. Flaxman Library Special Collections, the School of the Art Institute of Chicago, Chicago; Salt Beyoğlu, Istanbul; The Drawing Center, New York.

I certificati di autenticità fanno riferimento a un’opera, ne attestano legalmente l’esistenza, costituiscono la ricevuta fiscale di una transazione; talvolta incorporano essi stessi un’opera d’arte. I certificati servono a validare l’autorialità e l’autenticità del lavoro e permettono il posizionamento dell’opera d’arte sul mercato come un prodotto di marca – anche quando si tratta di lavori transitori o immateriali. Mentre si presume comunemente che l’importanza intrinseca di una determinata opera d’arte dovrebbe essere evidente all’occhio di un esperto, i certificati puntano invece altrove l’attenzione, e dimostrano che i materiali o le qualità estetiche in un oggetto a volte non sono sufficienti a costituire l’opera d’arte. Nell’epoca contemporanea, globalizzata e capitalista, il certificato, con le implicazioni che esso comporta sul pensiero artistico, è diventato al contempo uno strumento di business e una dichiarazione filosofica sulla natura di un’opera d’arte. I certificati hanno valenze giuridiche e ontologiche che li rendono documenti particolarmente affascinanti per attestare i cambiamenti di atteggiamento nei confronti dell’arte e del ruolo degli artisti.

Fornendo esempi di certificati di artisti degli ultimi cinquant’anni, questa mostra svela come i ruoli dei diversi attori siano mutati e come siano anche cambiati i materiali delle opere e i contenuti stessi dell’arte. L’esposizione, che si rivolge a un pubblico eterogeneo di appassionati d’arte o di questioni legali, di studiosi o di curiosi, presenta documenti all’apparenza molto formali, così come certificati disegnati e personalizzati dai singoli artisti; sono inclusi certificati di:Ruben Aubrecht, Judith Barry, Robert Barry/Stefan Brüggemann, Hemali Bhuta e Shreyas Karle, Pierre Bismuth, Marinus Boezem, George Brecht, Daniel Buren, André Cadere, Marcel Duchamp, Maria Eichhorn, Urs Fischer, Dan Flavin, Andrea Fraser, Liam Gillick, The Felix Gonzalez-Torres Foundation, Hans Haacke, Edward Kienholz, Yves Klein, Joseph Kosuth, Sol LeWitt, Ken Lum, Piero Manzoni, Gordon Matta-Clark, Josiah McElheny e Allan Kaprow, Jonathan Monk, Robert Morris, Antoni Muntadas, Yoko Ono, Cesare Pietroiusti, Adrian Piper, Emilio Prini, Robert Projansky e Seth Siegelaub, Raqs Media Collective, Robert Rauschenberg, Sharmila Samant, Joe Scanlan, David Shrigley, Daniel Spoerri, Haim Steinbach, Superflex, Rirkrit Tiravanija, Ben Vautier, Lawrence Weiner, Franz West, Ian Wilson, Cerith Wyn Evans, Carey Young, Andrea Zittel, Heimo Zobernig.

 

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