La mostra Insites, Collecting memories to build future che inaugura il 22 novembre da The Gallery Apart di Roma è il momento cruciale di un incontro tra 5 studentesse di arte della Cornell University e la scena romana emergente. Le studentesse scelte da Luana Perilli, hanno mosso i primi passi nella scena dell’arte della città ricevendo feedback e apprendendo come introdurre e presentare la loro ricerca: dalla produzione di un portfolio e di uno statement, agli studiovisit e agli appuntamenti con giovani professionisti fino alla realizzazione di una mostra in una galleria commerciale della città, The Gallery Apart.
Le cinque artiste nate negli anni ’90 manifestano un interesse comune per la memoria e sulle sue dinamiche di accumulo, riflessione, finzione e stratificazione. L’esperienza romana ha innescato percorsi diversi nello sguardo di cinque giovanissime americane sulla città eterna, sulle sue contraddizioni e sul desiderio di fissare l’esperienza multiforme della memoria privata e collettiva.
Madeline Bender ricostruisce l’esperienza del viaggio attraverso un processo di accumulazione e manipolazione critica e poetica. L’installazione si presenta come una collezione fatta di foto, mappe e oggetti su cui l’artista interviene con elementi pittorici e materici coniugando il suo interesse per una pittura organica e astratta con quello per la foto e i materiali trovati.
Alessandra Castillo investiga i rapporti tra astrazione e rappresentazione, tra fotografia e disegno. Partendo da materiali fotografici l’artista li traduce ricalcandoli in un complesso intreccio di linee grafiche che, seppur presenti nell’immagine originale, si trasformano attraverso l’uso della luce e della stratificazione del segno.
Jocelyn Fifield in una grande installazione fa incontrare la sua passione per l’architettura e la moda presentando abiti ispirati a vari elementi paesaggistici di roma che segnano altrettanti gradi di coinvolgimento nella città per un visitatore straniero. L’elemento progettuale si unisce alla materialità degli abiti-oggetti attraverso grandi disegni preparatori.
Nicolei Gupit parte dalla memoria privata. Attraverso le sue installazioni riflette sull’assenza di comunicazione con la figura materna, i gesti automatici che segnano questa relazione e il desiderio di riconciliazione. Partendo da elementi personali li traduce in dispositivi in grado di riflettere le fragilità comuni dei rapporti madre-figlia con un particolare interesse per la processualità dell’opera.
Madeline Oliver si interroga sulle potenzialità del mezzo fotografico investigandolo in tutte le declinazioni possibili: collage, cartoline, polaroid fino all’animazione in stop motion. L’intenzione dell’artista è quella di mettere in evidenza i processi della memoria come costruzione individuale, manipolabile e a volte stereotipata. La foto diventa un espediente per parlare della costruzione dell’immagine e dell’immaginario.