Fare della paura operazione seriale non pare gioco facile. L’operazione svolta sul mistero e sull’inquietudine da Lynch con Twin Peak e quella ospedaliera apocalittica di Von Trier con The Kingdom sembrano ancora irraggiungibili, tuttavia di soluzioni interessanti ne ho viste tante.
C’è Walking dead, quasi una telenovela sulla fine del mondo.
C’è Dexter, che non è esattamente horror, aggira i generi, si situa con forti momenti di tensione da suspence, tra il thriller, il poliziesco e il fortemente oscuro, a causa della personalità inquieta di Dex e di alcuni suoi nemici- amici (a mio avviso Dex è ancora una spanna sopra tutti).
Questo nuovo tentativo, American Horror Story, mi lascia in sospeso una domanda.
Mi pongo il problema di cosa può o deve significare serializzare la paura.
La storia che si prolunga dove si trascina, dove mi porta?
Nelle relazioni interpersonali in Walking Dead, nell’indagine in Dexter.
Qui invece tentano la strada dell’inquietudine, puntata per puntata. Sovraffollano di fantasmi.
Il risultato è un gotico barocco, non nelle scene o nelle inquadrature ma nel sovraestendersi delle sottotrama, semplici mini racconti di delitti precedenti.
Il barocco ha il limite di distrarre l’attenzione dalla paura.
Solo le ultime due puntate quando tutti i fantasmi sono definiti lascia davvero inquieti.
Insomma, io da piccolo aspettavo zio tibia, aspettavo che mamma si addormentasse, e aspettavo di avere paura ad attraversare il corridoio da solo al buio dopo il film.
Questo si dovrebbe ottenere, forse, o almeno qualcosa che si muova in quella direzione. Qualcosa di inquieto e di sospeso, non nella trama quanto nell’irrealtà, nel completare l’esorcismo delle proprie incertezze.