Voina (dal russo: Война; trad. ita.: guerra) è un collettivo attivo in Russia dal 2005. I loro lavori sono stati mostrati in molti paesi ed in seguito al tentativo di repressione da parte del governo, attivisti di tutto il mondo (da Venezia a Fukushima, da Zurigo a New York) hanno compiuto azioni in solidarietà al collettivo. Attualmente Voina è associate curator della settima edizione della Biennale di Berlino.
Di Voina abbiamo amato la sfacciataggine e la decisione di assumere pienamente una prospettiva “di parte”. Possiamo dibattere, ma è indubbio che il lavoro del collettivo si distacca dall’ipocrisia che spesso caratterizza artisti e curatori, radicalissimi a parole, ma attentissimi a non farsi coinvolgere da percorsi di movimento, percorsi che li porterebbero ai margini del sistema o magari a confrontarsi con temi e necessità che esulano dalla loro personale agenda artistica. Potrebbero esserci differenze di metodo e di visione tra Voina e il S.a.L.E., ma ci pareva possibile produrre un concatenamento proficuo, dando così spazio all’esempio di una pratica artistica che ha in comune con noi (e con tutto il movimento che in Italia sta occupando spazi in nome di una nuova stagione culturale) l’idea che la prudenza dell’arte rischi di tramutarsi in tristezza. E ci pare che Voina, attraverso le parole dei suoi membri, condivida questa punto di vista: “ abbiamo fatto sesso in pubblico e la cosa non ci spaventa più, abbiamo invaso una stazione di polizia e la cosa non ci spaventa più. Cosa c’è ancora che possa spaventarci? Con la morte faremo i conti in futuro. Presto saremo completamente privi di paura” (T. Peter; 2008).
Al S.a.L.E. sarà proiettata ( Inaugurazione martedi’ 24 aprile ore 18.30) gran parte delle azioni del gruppo dai primi anni di attività fino ad oggi: dal celebre fallo gigante dipinto sul ponte mobile di fronte alla sede dei servizi segreti russi, fino al sesso di gruppo celebrato per denigrare metaforicamente il passaggio di testimone dal presidente Putin al suo erede Medvedev, dall’ironica invasione di un commissariato da parte di alcuni membri della gang, travestiti da sostenitori del regime, fino alla saldatura delle porte di un famoso ristorante moscovita di proprietà di una star televisiva filo Kremlino.
Sebbene Voina conservi un’attitudine decisamente eversiva, la contrarietà al regime di Putin & Co. ha dato vita negli ultimi mesi ad un ampio movimento di opposizione che ha attraversato trasversalmente la società russa e mobilitato centinaia di migliaia di persone, in città come in provincia. Un movimento nato dallo sdegno per la ricandidatura di Vladimir Putin alle elezioni presidenziali e rinforzato dal clamoroso ricorso a brogli ed illegalità durante la tornata elettorale del dicembre 2011.
Putin, più di ogni altro, ha incarnato quella retorica della “stabilità” che ha imbrigliato la Russia dopo il caos post-sovietico degli anni ’90. Una retorica che ha dato vita ad un sistema parallelo, da una parte la corruzione e il clientelismo governativo, dall’altra la nascita di organizzazioni di stampo mafioso favorite dal grande vuoto istituzionale. È in questo humus sociale che, nel primo decennio del secolo, si è fatta faticosamente strada una terza opzione, quella di una new-left russa, lontana dal Partito Comunista ufficiale e nostalgico, composita e di orientamenti politici differenti, in cui, oltre agli attivisti classici, possono essere annoverati intellettuali, artisti e collettivi.
Certo, le grandi manifestazioni dell’opposizione degli ultimi mesi non hanno risolto l’emergenza democratica in Russia, l’informazione ufficiale continua ad essere asservita mentre i blog sono censurati, la polizia russa rimane una delle istituzioni più note per la facilità con la quale ricorre alla tortura, Putin (anche grazie ai brogli) è stato rieletto presidente al primo turno. Il movimento stesso pare essere frenato dall’anima più liberale e da accenti nazionalistici piuttosto spiccati. Ciononostante la Russia, nell’anno di Occupy Wall Street e delle “primavere arabe”, non è stata alla finestra e si è sollevata in massa contro quella “stabilità” putiniana che, nella crisi globale, ci appare come il nome russo di quel tentativo del capitale finanziario di mantenere saldo il timone del mondo (pur di fronte ad un crescente dissenso sociale).
Di questo dissenso Voina è da anni uno degli interpreti più radicali. Non è un caso che su alcuni dei suoi membri penda oggi un mandato di arresto federale e internazionale e che Oleg Vorotnikov e Leonid Nikolaev abbiano scontato quattro mesi di prigione a causa della loro militanza artistica.
Artisti e clandestini, i Voina suscitano grande entusiasmo o grande contrarietà, ciò che è certo è che il loro estremismo estetico richiama la storia dell’arte moderna russa. Furono artisti e autori (oggi considerati classici) che, sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre, teorizzarono e sperimentarono, negli anni Venti del Novecento, quella dissoluzione dell’arte nella vita che divenne il banco di prova delle avanguardie storiche. Sergei Tretyakov e Sergei Eiseinstein, ad esempio, portarono letteralmente il teatro in strada, nello spazio pubblico, declinandolo come strumento di agitazione sociale e perseguendo il sabotaggio dell’illusionismo tipico delle arti sceniche borghesi.
In tempi più recenti, durante la Perestroika e la contemporanea e peculiare sussunzione del mercato artistico russo nel sistema globale dell’arte, artisti underground rifiutavano l’isteria monetaria per concentrarsi su una critica della transizione. Si pensi a “Mercy” (1991), opera inaugurale dell’alternativa galleria Trekhpudny di Mosca. La mostra consisteva essenzialmente nella presenza di due senzatetto all’interno dello spazio espositivo, il progetto di Konstantin Reunov e Avdey Ter-Oganian è solo uno dei possibili esempi di un’attitudine alternativa a quella al tempo dominante, ovvero la riproposizione della simbologia e dell’immaginario sovietico a scopo di mercato. Al contrario, gli artisti riuniti attorno alla Galleria Trekhpudny, diedero vita ad un’avventura artistica certamente aliena da interessi speculativi e caratterizzata da una stimolante confusione tra la routine della vita comunitaria catalizzata dallo spazio e il Kairos dell’evento artistico.
Ci fermiamo qui, non vogliamo azzardare discendenze storico-artistiche prive di fondamento, ci interessava però fotografare una certa attitudine che, in forme diverse, ha caratterizzato la storia dell’arte russa arrivando fino a Voina