Sulle prime verrebbe da pensare “oh no, ci risiamo ecco che ci propinano un altro documentario sulla scena underground della New York degli anni ’90“. Già perchè la grande mela è stata il crocevia di numerosi movimenti di sottocultura che sono poi confluiti in altrettante numerose pellicole, si va dall’indagine sul movimento punk operata in End Of the Century (2003) di Jim Field fino al mitico documentario sulla cultura hip hop Beat This (1984) di Dick Fontaine. Anche Marc Singer nel 2000 ha prodotto un interessante film intitolato Dark Days, incentrato sui senza tetto e sulla vita di strada.
Sorprendentemente questa volta non si tratta nemmeno dell’ennesimo documentario fatto uscire furbescamente dopo la morte dell’icona della street art newyorkese Dash Snow. Il nuovo film documentario di Aaron Rose, intitolato Beautiful Losers è infatti una piccola perla in un universo alquanto ripetitivo. Beautiful Losers rende infatti omaggio all’universo delle fertili sottoculture americane degli anni novanta, una scena che ha ispirato la creatività di numerosi artisti considerati oggi le nuove stelle dell’arte contemporanea. Si tratta di una scena americana dominata da una cultura considerata stupida e costantemente messa in ombra dalla street art, un gruppo di giovani considerati i perdenti dell’epoca, ragazzi non conformi ed attratti dal mondo dello skateboard, della musica e dei film indipendenti e del graffiti. Questo manipolo di eroi metropolitani si sono man mano infiltrati nella scena dell’arte istituzionalizzata catturando l’interesse del grande pubblico, i nomi di alcuni sono Harmony Korine, Mike Mills, Shepard Fairey, Chris Johanson, Spike Jonze, Margaret Kilgallen, Mike Mills, Barry McGee e Phil Frost. Il film di Aaron Rose ripercorre la mitica avventura di questi magnifici perdenti, storicizzando un movimento che ha meno di 20 anni di età ed i cui esponenti sono ancora poco più che trentenni.
Tra i vari aneddoti raccontati nel corso del documentario svetta una frase di MIke Mills che nella sua semplicità nasconde tutta l’ideologia personale di questi Beautiful Losers: “L’arte dovrebbe essere bella a vedersi ed avere un cuore”.