Adalberto Abbate alla Gam di Palermo

di Redazione Commenta

Siamo fermi, assenti. Senza prendere le distanze da questa civiltà fantasma, stiamo per fare un grosso respiro e ricostruire il prossimo errore.  L’origine delle cose è ormai lontana e faticosamente inafferrabile.  Nella paura di una sterile inversione abbiamo rinnegato le pitture delle nostre origini, create con coscienza e volontà, per lasciare spazio al silenzio e al vuoto; nell’ovattatura di questo rifugio abbiamo distrutto dentro di noi ogni principio di resistenza abbassando i nostri bisogni ad abitudini primordiali. Abbiamo deciso di abdicare e lasciarci guidare da fili invisibili come pupi di una leggenda ormai troppo lontana. Il bisogno di essere gestiti ha schiacciato le nostre coscienze e ci ha reso immobili.

Chi ha ricostruito le nostre idee, i nostri desideri, il nostro dire e lo stare zitti, le nostre rivoluzioni, i nostri compromessi ed infine le nostre speranze lo ha fatto secondo un piano che non appartiene ad alcuno.  Lo svuotamento delle coscienze si trova ora a fare i conti con la fine delle illusioni che ciclicamente si appropriano del pensiero umano.  L’onnipotenza rivela la vera esigenza dell’individuo nella creazione, devastazione e ricostruzione del sé e del suo teatro.


Ed ecco che il riflesso falsato di quello che un tempo eravamo, ed eravamo stanchi di essere, torna ad esasperare la continua ricerca di distruzione e ricostruzione che faticosamente vorremmo arrestare. Il passato, il presente e il futuro si annullano e l’azione e l’immobilità si fondono nella stessa medaglia rivelando un Io estraneo al proprio giudizio. Noi stessi rinneghiamo le nostre convinzioni nell’illusione che una perfezione sia possibile; dal giudizio e dall’egoismo traiamo il nostro sistema degli oggetti condizionato e viziato.

La trasfigurazione della coscienza ci illude di avanzare perpetuando in effetti soltanto la nostra marcia sul posto.  Che si scelga di distruggere o ricostruire la sola certezza di un individuo sarà comunque l’individuo stesso come sommatoria risultante dal prima e dal poi, dal sopra e dal sotto, dal pieno e dal vuoto. Il contesto esterno modifica l’essenza di un’identità in totale estraneità dalla coscienza. L’Io che non è più Io, diventa Tu, Egli, Lei e Loro. Ha il sapore del Tutto e l’odore del Niente nell’avanzamento forzato di un processo educativo evolutivo che non smette di rigenerarsi da macerie in macerie.

Inaugurerà il 29 giugno il progetto creato appositamente da Adalberto Abbate per gli spazi delle mostre temporanee della Gam di Palermo, dove prosegue il ciclo di mostre dedicate all’arte contemporanea.  In Self-Portrait saranno esposte opere recenti, dal 2005 ad oggi, con progetti realizzati ex novo e site specific, con cui l’artista si rivolge alle coscienze assopite: dipinti, sculture, ma anche fotografie e installazioni video, che si caratterizzano per il voler rappresentare una dimensione reale e grottesca sul limite del cinismo e della verità.

Il lavoro dell’artista intende testimoniare lo stato cronico di immobilità per il quale ognuno di noi preferisce rifugiarsi nel proprio mondo interiore piuttosto che affrontare le complesse questioni collettive. Un resoconto pieno di memorie e rimandi, delusioni, sconfitte e perdite, che mira a instradare verso una riflessione asciutta ed essenziale sulla storia e, naturalmente, sull’arte. Silenziosi e sospesi, i soggetti delle foto, come le sculture e le installazioni di questo progetto, animano uno scenario ovattato, attraversato e abbandonato; sono superstiti di un passato che non si può più assecondare, testimoni di un paesaggio tutto da ricostruire. Campo d’indagine dell’artista sono inoltre i meccanismi della memoria e i disturbi di percezione della verità, che riportano il discorso su un piano più soggettivo. Il risultato è dunque una ricerca che combina le dinamiche sociali con una sfera più propriamente individuale, con l’intento di mettere in luce le complesse sfaccettature dell’orrore/errore contemporaneo.

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