Ma insomma, dopo tutti questi articoli su Londra e tutto questo clamore, cosa rimane di Frieze? Innanzitutto è inutile ricordare ai nostri lettori che in fatto di prestigio ed organizzazione la celebre fiera britannica non si smentisce mai, press office puntuale, preciso e severo quanto basta, strutture degne di questo nome, stand ben costruiti e punti ristoro veramente golosi. Tutto costruito appositamente sul terreno del Regent’s Park, praticamente inutile il confronto con le nostre fiere. Parlando di cosa ci è piaciuto va detto che, se nelle scorse edizioni si è assistito al trionfo dei cervi ed in seguito dei teschi, quest’anno è stato l’anno del collage. Impossibile visitare un qualsivoglia stand senza notare almeno un’opera di collage fotografico. Del resto noi siamo sfegatati fan del post-modernismo, il problema però è che qui stiamo pericolosamente tornando alle ricerche estetiche dei primi del novecento. Alzi la mano chi ha visitato Frieze ed osservando i collages presenti nelle gallerie non ha pensato subito alle meraviglie di Hannah Hoch, Raoul Hausmann, Kurt Schwitters e compagnia cantante. Già, dopo un periodo di stasi dove i collages made in Photoshop avevano conquistato il mondo della creatività internazionale, gli artisti sono pian pianino tornati alla manualità delle forbici e dei colori. Insomma, queste sperimentazioni sono già state ampliamente effettuate ed oggi il loro effetto sembra quello di spersonalizzare l’artista che le ricalca. Quando i replicanti di una soluzione creativa crescono a dismisura bisogna in qualche modo correre ai ripari, prima trasformare tutto in una linea piatta, senza soluzione di fuga….