Tutti siamo concordi nel definire la crisi economica la vera causa della profonda emorragia della scena dell’arte italiana. Gli artisti fuggono, le gallerie chiudono, i musei non hanno fondi e la critica brancola nel buio. Insomma l’Italia sembra essere il paese peggiore per mettersi in testa di fare qualcosa nel mondo dell’arte contemporanea. Eppure io penso che la crisi sia solo una buona opportunità per riportare in auge l’arte del nostro belpaese. In effetti questa crisi dell’arte è figlia di una bolla speculativa che va ben oltre il concetto di crisi economica ma si apre ad una possibile definizione di crisi di funzionamento. Agli inizi del 2000 ogni individuo con la seppur minima velleità creativa si è sentito in diritto di agire all’interno della scena. Aspiranti fotografi, aspiranti critici e galleristi si sono riversati in un indotto già saturo, destabilizzando ogni possibile riferimento di mercato. La cosiddetta digital art è stata la grande illusione del secolo, chiunque ha creduto possibile il successo nell’artworld, photoshoppando due fotografie. Che dire poi di chi ha aperto gallerie sperando di vendere queste opere senza un preciso valore di mercato, mentre chi le comprava non sapeva nemmeno il “pacco” che stava ricevendo. In ultimi vi sono stati nugoli di curators ed esperti dealers, venuti dal basso e senza preparazione che hanno teorizzato il nulla, arraffando pochi bigliettoni in tutta fretta salvo poi sparire nel giro di un quinquennio. Magazines hanno spinto nomi fasulli e paventato l’arrivo di cineserie un tanto al chilo, premi a premietti hanno lasciato solo il sapore del successo a chi, tanto speranzoso, se li è aggiudicati. fine prima parte continua alle 18
I bamboccioni dell’arte sono finiti – 1 parte
di 19 Settembre 2014Commenta