Problema: ci troviamo alla mostra di Chris Burden alla Gagosian Gallery di Roma, (inaugurata il 13 febbraio 2010) con tanto di vips ed iperpresenzialisti della scena dell’arte. Secondo voi è possibile valutare negativamente il lavoro di un monumento della storia dell’arte contemporanea che espone all’interno di un tempio del mercato internazionale?
Soluzione: Si, è possibile e doveroso
Il 19 Novembre del 1971 alle 19:45, Chris Burden ha prodotto una delle opere più sconcertanti della storia dell’arte contemporanea. Si tratta di Shoot, performance in cui l‘artista ha inscenato una fucilazione fondendo l’arte con la realtà e subendo così il lacerante impatto di un proiettile calibro 22 sul suo braccio sinistro. Gli fu chiesto il perchè di tale gesto e Burden rispose semplicemente “Volevo essere preso sul serio circa il mio ruolo di artista“, ed ebbe ragione. Le performance di Burden hanno sancito un nuovo modello artistico caratterizzato da una crudeltà passiva ed aggressiva in cui l’artista mette in gioco la sua creatività e la sua vita.
La vita di Burden è appesa ad una sottile linea rossa anche in Trans-Fixed, opera del 1974 in cui l’artista si crocifisse sul retro di un maggiolino della Volkswagen con tanto di mani inchiodate. La passività e l’alienazione affiorano nella sua performance Doomed del 1975 al Museum of Contemporary Art di Chicago, in cui l’artista stette immobile sul suolo sotto alcune lastre di vetro per ben 45 ore e 10 minuti. Impossibile riassumere in questa sede l’epica artistica di Burden, filtrata attraverso lenti duchampiane, che nel corso degli anni ha subito una costante evoluzione incrociandosi con land art ed installazioni site-specific.
Chris Burden è un vero maestro ma la sua mostra The Heart: Open or Closed alla Gagosian Gallery di Roma riporta alla mente il fallimento dell’installazione When Robots Rule: The Two Minute Airplane Factory in London, England (1999). Alla Tate gallery Burden presentò una macchina per costruire aeroplani di carta che di fatto si rifiutò di funzionare. L’installazione dimostrò che i Robot non possono governare totalmente la nostra esistenza così come Burden e Gagosian non sono esenti da critiche.
L’incidente estetico creato dai gazebo e dalle tende presenti in mostra è forte, come forte è l’incidente concettuale. Burden ri-allestisce Nomadic Folly presentato alla settima Biennale di Istanbul e di fatto ricrea una tenda nomade, presumibilmente tentando di riallacciarsi alla visione di architettura a misura d’uomo. Molti popoli, dall’alba dei tempi, hanno vissuto all’interno di tende e molti popoli continuano a farlo esattamente nel modo fastoso che ci ha regalato Burden.
Di fronte Nomadic Folly si erge Dreamer’s Folly (2010), una serie di tre ornati gazebi in ghisa. Cosa vuol essere quest’opera? Forse una riaffermazione del ready made di Marcel Duchamp in cui un comune manufatto di uso quotidiano assurge ad opera d’arte una volta prelevato dall’artista e posto così com’è in una situazione diversa da quella di utilizzo. Forse le installazioni, assieme al video The Rant (2006), dove Burden emerge sopra uno specchio d’acqua e recita un testo xenofobo, vorrebbero illustrare la sublime e meravigliosa diversità di culture e razze mediante le loro espressioni architettoniche. Culture che possono essere divise dall’odio razziale.
In realtà quello che vediamo è quello che realmente è. Una tenda da sole prodotta da un famoso marchio italiano (marchio ben stampigliato e visibile) ed un gazebo che molti laboratori nei dintorni di Roma vendono a prezzi accettabili. Questo ha scelto di mercificare Gagosian ed è lapalissiano che i chiunque potrebbe comprarsi una sontuosa tenda da sole come quella di Burden spendendo poche migliaia di euro invece che centinaia di migliaia deuro.
Nel corso della storia dell’arte abbiamo visto artisti produrre direttamente le loro opere, artisti demandare ad altri artigiani la produzione delle loro opere ed infine oggi assistiamo a questo buffo spettacolo fatto di artisti che acquistano prodotti industriali già pronti per creare le loro opere. Ma questo è il mondo dell’arte contemporanea, il gesto duchampiano di un grande artista (come detto) trasforma in arte ciò che non lo è, per questo si paga.
Secondo il comunicato stampa emesso da Gagosian, i tre gazebo di Dreamer’s Folly “offrono allo spettatore un magnifico santuario in cui sognare” e quest’affermazione degna di un catalogo d’agenzia di viaggi sembra l’unica chiave di lettura di The Heart: Open or Closed.
Micol Di Veroli
Arthur 17 Marzo 2010 il 10:15
bello, bellissimo. brava.
Micol Di Veroli 17 Marzo 2010 il 10:21
grazie molte Arthur!