I resoconti delle manifestazioni fieristiche nazionali, compresi quelli del Miart 2010 che si è concluso il 29 marzo, parlano di un mercato che sostanzialmente ha retto la grande “botta” della crisi economica. Le aste internazionali parlano invece di una riduzione della bolla speculativa e di un livellamento delle quotazioni ad una dimensione più umana. L’andamento del mercato dell’arte contemporanea dunque è ancora un grande punto interrogativo.
Un fatto accaduto negli ultimi giorni può darci però alcuni indizi sul reale impatto economico della crisi sul sistema dell’arte. Dopo 17 anni di presenza sul mercato i grandi dealers Pace e Wildenstein, (raccolti sotto il marchio PaceWildenstein) hanno deciso di dividersi: “Non c’era più ragione di continuare a correre uniti, non riusciamo più a scambiarci i clienti come una volta” ha dichiarato Arne Glimcher, dirigente di Pace. Ma nel 1993 l’unione delle due gallerie sembrò un’idea brillante, capace di far confluire i collezionisti in un grande ed unico “punto vendita”. Pace è specializzato in arte contemporanea ed il suo squadrone è formato da nomi del calibro di Robert Rauschenberg, David Hockney, Chuck Close e Agnes Martin. Wildenstein è invece pluriblasonata per il suo menù ricco di grandi maestri come Michelangelo e Monet. Oggi però il mercato è cambiato ed in certi casi è divenuto ancor più frammentato ed il collezionismo è sempre più specializzato quindi i due grandi marchi hanno deciso di separarsi. In realtà non ci è dato sapere se l’arte contemporanea sia stata più redditizia dell’arte moderna nell’affaire PaceWildenstein, visto che i dettagli economici della separazione sono rimasti segreti.
Quello che sappiamo è che Pace ha acquistato una buona parte delle azioni della Wildenstein (il 49 percento ad essere precisi) e si è ricomprato una ricca parte dell’inventario comune tra cui svettano nomi come Rothko, Barnett Newman ed altri. La separazione dei due grandi dealers può aiutarci a comprendere che forse è il momento di tornare ad uno snellimento generale ed abbandonare i progetti faraonici capaci di generare solamente dinosauri multinazionali.