Per una manciata di decadi la musicassetta ha monopolizzato non solo il mondo della musica ma anche quello della creatività in genere. Alzi la mano chi non ha mai inciso la sua voce su di un nastro magnetico o non ha mai registrato della musica autoprodotta o ancora chi non ha mai “sdoppiato” l’album della sua band preferita a qualche amico o compagno di scuola. Molti artisti hanno utilizzato l’audiocassetta per compiere stravaganti esperimenti ed uno di questi è William Furlong che dai primi anni ’70 ha effettuato alcune ricerche di matrice concettuale utilizzando appunto la cara e vecchia cassetta.
Proprio in questi giorni la casa editrice Phaidon ha pubblicato l’opera Speaking of Art, in cui figura una ricca selezione delle centinaia e centinaia di registrazioni effettuate da Furlong. A partire dal 1973, con l’aiuto di alcuni collaboratori, Furlong diede vita ad Audio Arts, un magazine a basso budget costituito unicamente da registrazioni su cassetta. Furlong intervistava gli artisti che trovava interessanti come Laurie Anderson, joseph Beuys, Vito Acconci e John Cage ed una volta registrate le cassette spediva il tutto ad una serie di amici ed abbonati. Dapprima le copie erano un centinaio ma ben presto diventarono migliaia. Le interviste ed i discorsi tra Furlong e gli altri artisti erano decisamente fuori dall’ordinario e questo contribuì al successo della pubblicazione: “Nessuno dei nostri discorsi e nessuna delle nostre tematiche erano trattati da altre testate o magazine d’arte, eravamo una vera alternativa”. Furlong considera il magazine una vera e propria opera d’arte una scultura audio monumentale.
L’artista iniziò a registrare le sue audiotape con un registratore portatile tedesco da cui non si separava mai, Furlong portava infatti il suo Uher alle mostre, agli studi d’artista catturando qualunque conversazione per un totale di ore ed ore di registrazioni. Successivamente Furlong riversava il tutto all’interno di cassette da 60 o 90 minuti. “Fu un esperimento decisamente rivoluzionario, le cassettine costavano poco ed in due o tre giorni potevano essere spedite fino negli Stati Uniti. In qualche maniera era sorta di internet dell’epoca”.