GlobArtMag ha presenziato ieri all’ultima serata di Storie fantastiche dal delta del Niger, lo spettacolo prodotto dalla Fondazione Alda Fendi – Esperimenti e diretto da Raffaele Curi in scena all’Antico Mercato del Pesce degli Ebrei, al Circo Massimo, di Roma.
Lo spettacolo in bilico tra teatro, performance e video arte si riproponeva a quanto recita il comunicato stampa di descrivere l’Africa, con i miti, la sua magia e i suoi misteri, osservata nella vita di tutti giorni. In realtà a parte la monumentale presenza della cantante Angelique Kidjo meravigliosa dispensatrice di emozioni, di teatro, arte ed esperimenti abbiamo visto molto poco. Difficile giudicare, intenti benefici a parte, un polpettone di 50 minuti circa in cui si sbandierano banalità e stralci di letteratura con la stessa metodologia di una pubblicità progresso.
Raffaele Curi strizza continuamente l’occhio alla molteplicità di immagini e contenuti del Peter Greenaway de L’ultima tempesta tentando inutilmente di imitarne l’elegante barocchismo. Il regista tenta di trarre persino gli spunti sonori delle fughe del Wim Mertens de Il ventre dell’architetto sempre di Greenaway ma inevitabilmente manca la presa lasciando lo spettatore solo a districarsi tra un fiume incontrollato di rimandi visuali e retorica kitsch che a tratti indispettisce per la compiaciuta ingenuità.
Parlando di sonoro c’è anche il tempo per tirare in ballo, quasi a caso e ci piacerebbe anche sapere il perchè, John Cage, Domenico Modugno, Claudio Villa ed un breve estratto da La montagna incantata, di Alejandro Jodorowsky sciamano e truffatore sacro che con l’eccesso di simboli ed esetorismi aveva ben altre mani fatate. Il momento Jodorowsky ha comunque rappresentato una breve ed agognata pausa filmica che se non altro ha ribadito il netto divario tra le due proposte visive.
“Mi hanno detto che sono barocco. Falsità: io sono minimal” ha dichiarato ultimamente Raffaele Curi in un’intervista apparsa su Panorama, in realtà osservando gli spunti teatrali offerti dallo spettacolo ci viene in mente che il minimalismo di Jerzy Grotowski era forse ben altra cosa.
Photo Copyright: Angelique Kidjo