La galleria Tiziana Di Caro di Salerno ha il piacere di inaugurare The Mousetrap or Something old something new something borrowed something blue, una mostra collettiva a cura di Chris Sharp, giovedi’ 3 giugno 2010 dalle ore 19.00 alle ore 22.00.
La mostra prende in prestito il doppio titolo dall’Amleto e da un lavoro di Lawrence Weiner. Facendo riferimento alla rappresentazione nella rappresentazione, al -mise-en-abyme- (concepito e nominato -The Mousetrap- dallo stesso Amleto) e ad un momento nell’arte concettuale in cui essa diventa una forma di linguaggio -non narrativo-, The Mousetrap or Something old something new something borrowed something blue, e‘ una riflessione sulla capacità comunicativa dell’arte, in quanto auto – rappresentazione o tautologia. La mostra mette a confronto una piccola selezione di artisti concettuali storici come Keith Arnatt, William Anastasi e Christine Kozlov ed una generazione piu’ giovane che include Nina Beier, Etienne Chambaud, Alexander Gutke, Wolf von Kries e Kate Owens, evidenziando le differenze nell’uso che essi fanno di specifiche strategie. Là dove Arnatt, Anastasi e Kozlov spesso cercavano di eliminare, quanto piu’ possibile, l’aspetto narrativo dalle proprie opere, Beier, Chambaud, Gutke, von Kries e Owens usano tecniche sperimentate da quegli stessi artisti, ma con fini piu’ analitici.
La complessità e l’immediatezza di queste esperienze, naturalmente, varia, passando da forme sublimate di narrazione a momenti piu’ evocativi ed ampi. Framing Paint, Painting, Picture (2010) di Nina Beier, per esempio trasmette la storia della propria assenza e ripetuta esposizione, cosi’ come la sua sottrazione sia letterale che figurata. L’opera e’ la foto di un wall painting blu monocromo, che era originariamente dipinto dietro un’altra opera bidimensionale su parete. Ogni volta che l’artista espone questo lavoro lo rifotografa in modo che esso divenga sistematicamente piu’ piccolo, cosi’ da ritirarsi in se’, e raccontare la storia della propria esposizione.
L’auto-rappresentazione e il mise-en-abyme in questo caso assumono un significato allegorico eludendo l’attrito che si crea guardando ripetutamente una stessa immagine. Allo stesso tempo gli altri lavori in mostra, come Boomerang di Wolf von Kries, parlano di una piu’ estesa percezione della narrazione. Per questo lavoro Von Kries ha spedito un boomerang via posta ad un indirizzo immaginario a Sydney in Australia, ma non trovando alcun destinatario o indirizzo corretto, esso e’ tornato ubbidientemente, compiendo il suo viaggio intorno al mondo, dall’artista a Berlino. Come tale questo lavoro diventa una metafora della soppressione e del ritorno della narrazione nell’arte occidentale del dopoguerra. Come il percorso simbolicamente tracciato in questa mostra esso serve a ricordarci che, che ci piaccia o no, le storie, saranno sempre, se evasive, un’essenziale parte dell’arte.