Giorni fa non si faceva altro che parlare di Roma “la nuova capitale del contemporaneo”. Poi la curiosità è scemata e mi è rimasta in punta di labbra la domanda: ma la vecchia capitale qual’era? Io auguro il meglio a Roma, ai nuovi musei romani e spero di cuore che trovino la formula giusta per funzionare, dialogare, emozionare, eccetera eccetera. Il problema è che io vivo a Milano, la città che dovrebbe essere l’altro polo del contemporaneo (o almeno così ho sempre sentito dire), quella più lanciata nel futuro e nella globalizzazione, no? Ebbene, io sono un po’ preoccupata per la mia città.
In un bel pomeriggio assolato ho voluto toccare con mano l’offerta cittadina, ormai sono poche le gallerie private che aprono nel fine settimana, quindi per un sabato alternativo devo affidarmi a Massimiliano Finazzer Flory, il nostro Assessore alla Cultura. Volendo si potrebbe semplicemente fare del sano shopping, in fondo Milano è pur sempre la città della moda, ma non ve lo consiglio, soprattutto ora che son finite le scuole. Per scappare della ressa, invece, dovrete percorrere via Torino e verso il fondo girare in un vicoletto, troverete pace a Palazzo Durini dove è stata allestita la mostra: Il mito del vero, a cura di Giacomo Maria Prati e Paolo Lesino grazie alla collaborazione tra ARCAdiA e svariate istituzioni locali lombarde e toscane.
Se si va sul sito dell’associazione si può scaricare il catalogo in formato pdf, correlato da bei testi dei due curatori, del nostro assessore e di due ospiti: Philippe Daverio (decisamente ispirato) e Andrea Aromatic. Più di sessanta pagine ricche di parole e immagini, un bel prodottino insomma. Il lavoro che è stato fatto è visibile e tanto, che quasi mi spiace dire che l’allestimento nelle sale è scialbo e poco curato nei dettagli. La cornice sembra un palazzo antico di quelli riprodotti sui set cinematografici, con lo stucco bianco spatolato e i ghirigori dorati. E le opere sono poco valorizzate, certo è evidente la bravura tecnica della maggior parte dei 50 artisti coinvolti, ma dov’è la forza espressiva? Dove il messaggio? C’è come una patina che distanzia lo spettatore dall’artista.
Mi sento un po’ come la mia professoressa alle medie: “Sua figlia non è stupida, ma non si applica” “Gli artisti sono bravi, ma non c’è poesia.” E magari mi sbaglio, ma se si tratta di iperrealismo, di ritratti delle verità umana, allora voglio poesia, voglio che l’immagine parli allo stomaco e al cervello, perché è questo che fa la realtà.
Scusate lo sfogo, ma non temete ad altri con me la mostra è piaciuta, e sicuramente per una come me che la stronca e si inalbera, ne troverete altrettanti che la loderanno. L’unico dubbio che mi rimane è: ma Philippe Daverio ci ha mai messo piede a Palazzo Durini?