In tempi di crisi non si guarda in faccia a niente ed a nessuno questo pensiero deve esser ronzato per parecchio tempo in testa a Giancarlo Politi organizzatore della Prague Biennale giunta quest’anno alla sua quarta edizione. Le biennali si sa sono un’occasione ghiotta per far salire le quotazioni di determinati artisti ed è palese che molte gallerie esercitino una specie di sudditanza psicologica su curatori ed organizzatori, oltremodo va detto che molti artisti presenti ad una biennale riescono a vendere in seguito loro opere attraverso le gallerie rappresentanti o altri canali.
Fino ad ora però le biennali hanno cercato di mantenere almeno un’immagine di facciata, una parvenza di indagine su quanto di più innovativo e sperimentale offra il sottobosco dell’arte contemporanea. La Biennale di Praga quest’anno ha invece deciso di far cadere anche quest’ultima maschera di gesso, tramutando la manifestazione in qualcosa di simile ad una fiera in cui è possibile acquistare le opere degli artisti partecipanti, l’organizzazione si riserva di trattenere il 40% di provvigione. Insomma una fiera senza i faraonici costi della fiera. Per Giancarlo Politi l’idea è quella giusta.
Per quanto Politi sia un personaggio controverso e molto spesso fortemente estremista nei riguardi del sistema dell’arte contemporanea, questa decisione in fondo ci piace se non altro per il coraggio di porsi contro ogni tipo di ipocrisia sputando in faccia la cruda realtà.
Sebbene una biennale dovrebbe essere un evento al di sopra del commercio dell’arte e degli artisti, una manifestazione in grado fornire un reale termometro delle nuove scoperte e delle nuove tendenze, è lapalissiano che qualunque intento filosofico e sociale è stato ormai da tempo dimenticato. Oramai quel che conta è il mercato, quindi non vi è nessun male ad oggettivare tale situazione con una biennale-mercato.
I benpensanti potranno storcere il naso ma come recita il nostro incipit: in tempi di crisi non si guarda in faccia a niente ed a nessuno.