Di crisi ne abbiamo parlato molto, ne hanno parlato in tanti. Giornali, webmagazines e blogs di tutto il mondo hanno lasciato scorrere fiumi di nero inchiostro sopra questo periodo di recessione dell’arte, gettando appassionati e addetti del settore nel più profondo sconforto. Eppure anche in questo tetro frammento di tempo in cui le gallerie vendono meno, le istituzioni museali tagliano il personale e Sotheby’s non riesce a pagare i suoi movimentatori, ci deve esser per forza qualche nota positiva. Noi di Globartmag abbiamo provato ad analizzare i possibili giovamenti della crisi.
Per gli artisti e le gallerie: con meno vendite facili in giro si è costretti a focalizzare la propria ricerca sulla qualità. Ciò significa che la crisi attuerà una reale selezione naturale in cui il superfluo lascerà il posto al necessario elevando in tal senso i contenuti estetici, formali e filosofici di ogni opera d’arte e di ogni evento. In seconda battuta la chiusura di locali commerciali ed il successivo calo del prezzo degli immobili rappresenterà un ottimo investimento per gli artisti che sono ancora in cerca di uno studio a buon mercato (basti pensare a Soho, New York nel 1970) .
Per i musei: Sostanza anche qui, meno progetti faraonici sia legati all’architettura sia legati agli eventi, meno mostre con artisti internazionali della domenica e più attenzione nella programmazione, investendo sul poco ma buono.
Per i collezionisti: Prezzi non più alle stelle quindi ottimi investimenti in vista, è dunque questo il momento di investire su quello che prima sembrava una chimera con la sicurezza di un mercato più stabile.
Per le vendite all’asta: Anche qui prezzi che ritornano alla realtà dopo bolle speculative e record improbabili a suon di fantastiliardi. Anche gli artisti trarranno giovamento da ciò poiché il loro valore di mercato sarà legato a fattori oggettivi e non più a mode del momento.
Insomma come si suol dire, non tutti i mali vengono per nuocere.
Andrea Grappolo 9 Giugno 2009 il 14:45
Le imprese e i consigli d’amministrazione dovrebbero avere un’attitudine mimetica nei confronti degli artisti su come si deve reagire alla crisi dei mercati. Gli artisti non si raccontano le balle da soli, credono profondamente nel significato di quello che fanno, vivono in bilico tra la necessità del successo personale/commerciale e la tensione morale. Quando si dice di un artista che è un “venduto” s’interpreti l’asserzione come un complimento, perché se l’arte è anche estensione della personalità dell’artefice, vuol dire che ogni volta che un artista vende un proprio lavoro vende anche un pezzo di se stesso.
Chi lavora nelle aziende consuete può permettersi di dividere il proprio tempo in lavorativo e libero concedendosi superficialità, ingenua arroganza e zelo servile in nome del denaro per poi rifugiarsi nella tiepida casetta, al sicuro. Per l’artista non esiste frattura tra i due momenti della vita; è sempre in guerra e a letto con la moglie al tempo stesso. Gli artisti non sceverano tra vita privata e lavoro, pur sapendo usare spesso benissimo le indagini e le strategie di mercato, ottimizzando al massimo i tempi, minimizzando gli sprechi, bilanciando l’ideale e le contingenze, commisurando al mondo delle idee le necessità. In più gli artisti sono sempre pronti ad affrontare senza paura il nuovo, per lasciarsi alle spalle il vecchio, quando più non serve. Questo avviene senza che essi mai tradiscano non solo se stessi, la qual cosa sarebbe una questione privata, ma le loro azioni. E’ quello che si fa, non ciò che si è, ad avere peso nel mondo.