Alcune note contro la noia imperante

 In queste pagine si è più volte parlato della nuova creatività italiana e vorrei ribadire quanto l’arte giovane rappresenti la nostra unica risorsa per tentare di emergere dallo stato di torpore in cui versa la scena dell’arte contemporanea nostrana. Eppure se da un lato i nostri artisti sono stretti da una morsa istituzionale che ne appiattisce la creatività e ne limita l’azione, dall’altro anche la proposta creativa dovrebbe iniziare a mostrare i denti e non cedere il fianco a chi punta all’uniformazione.

Va da sé che le fondazioni ed i musei sono orientati verso artisti dotati di curriculum o comunque trainati da importanti cordate. Galleristi e curatori dal canto loro operano lo stesso criterio di selezione con l’eccezione che ogni tanto riescono a mettere in evidenza qualche talento verace. Il vero problema è che tutti sono orientati a seguire un modello estetico internazionale con la convinzione che questo sia una panacea in grado di far vendere o comunque donar prestigio, quando invece non ci si accorge che scimmiottando forme creative del passato o di altre nazioni si genera solamente un inutile prodotto complementare.

In Italia si può ancora sperare nell’arte? Forse si

Dopo un secolo come quello passato che ha visto nascere avanguardie e sperimentazioni artistiche di ogni sorta, ci troviamo oggi con il fiato corto, sfiancati forse dalle troppe tecnologie che concedono a tutti infinite possibilità e non pongono limiti da superare. La colpa di questa atonia generale è attribuibile anche ad un sistema dell’arte che troppo spesso mira a far emergere il curriculum dei giovani artisti piuttosto che la loro visione creativa. Del resto bloccati come siamo in polemiche inutili, balletti per le poltrone dei musei e lotte per un tozzo di pane ci ritroviamo ad assistere passivamente ad una creatività caratterizzata dall’eterno ritorno del Pop, dell’Arte Concettuale e di una certa estetica noiosa ma condivisa che predilige l’equivoco e l’androgino, proponendo l’illusione del mistero e manifestando invece il trionfo del pretesto e della banalità.

In Italia non riusciamo a renderci conto che forse abbiamo lasciato per strada spontaneità ed irruenza, aggressività e drammaticità, ironia e gusto, in sostanza abbiamo totalmente perso la bussola ed il campo base è ancora lontano. Per fare un esempio di questa confusione imperante, giusto qualche anno or sono la nazione ha celebrato in lungo ed in largo il centenario del Futurismo, sbandierandone gli intenti anche nel Padiglione Italia della Biennale di Venezia. Ebbene ad esser sinceri del Futurismo non se ne è vista nemmeno l’ombra, nulla in grado di cogliere una seppur minima scintilla di tale movimento che ha positivamente infettato arti visive, letteratura e teatro, fino a gettare le basi della musica elettronica con Luigi Russolo.

L’arte contemporanea italiana è la società dello spettacolo

 In tempi non sospetti il celebre pensatore ed artista Guy Debord ci aveva messo in guardia contro il potere dello spettacolo, un rapporto sociale e culturale tra individui mediato da immagini vuote e figlie del consumismo di massa, una sorta di assoggettamento psicologico in cui ogni individuo è isolato dagli altri ed assiste passivamente ad un monologo elogiativo dello spettacolo stesso. Ovviamente per spettacolo intendiamo riassumere in questa sede il sistema dell’arte contemporanea italiano e tra i burattinai di questo enorme carrozzone, oltre le istituzioni, figurano anche i curatori d’arte, specificando che persino la scrivente potrebbe tranquillamente farne volontariamente od involontariamente parte.

Ma andiamo per gradi ed analizziamo in cosa consiste questo spettacolo. L’opera d’arte, un tempo padrona assoluta della manifestazione creativa dell’uomo è divenuta un accessorio, un semplice orpello schiavo di estetiche e stilemi propri di un minimalismo banale e di un concettuale svuotato da ogni minimo concetto. Eppure l’opera è un accessorio indispensabile, poiché senza di essa l’artista non esisterebbe ed il curatore non potrebbe organizzare il suo bell’evento. L’opera e l’artista o per meglio dire l’artista è l’opera dato che quest’ultima nella sua flebile natura, viene inevitabilmente sommersa dalla presenza ingombrante di artisti pseudo-rockstar che incessantemente appaiono sulle copertine dei magazine d’arte e puntualmente vincono i premi artistici con il loro curriculum od il loro nome.

Ron Mueck l’artista più vero del vero

 Ci sono artisti che preferiscono filtrare la realtà attraverso le lenti dell’inconscio, generando forme astratte od espressioniste. Altri invece raffigurano la realtà come dato oggettivo. Tra queste due categorie si bilancia Ron Mueck, artista celebre e stravagante che raffigura la realtà ed in specifico la condizione umana per il suo lato surreale e debordante ma pur sempre veritiero.

“Fin dal suo ingresso nella scena dell’arte internazionale, Mueck  ha continuato a stupire ed affascinare il pubblico con le sue realistiche, sculture figurative. Adesso l’artista occupa un posto unico ed importante nel campo dell’arte contemporanea di tutto il mondo” Ha dichiarato Frances Lindsay direttore della National Gallery. Secondo il noto curatore australiano David Hurlston, Ron Mueck riesce ad illustrane l’uomo dalla nascita fino alla sua morte, creando sculture senza tempo che rappresentano ritratti psicologici di intenistà emotiva e di isolamento.

La rivincita delle tecniche antiche

Il mondo dell’arte contemporanea è ormai invaso da una miriade di tecniche creative. Sempre più giovani artisti infatti si avvicinano all’arte mediante la installazione site specific, la performance, la video arte, la net art ed i new media, abbandonando tecniche classiche come la scultura e la pittura.

Quale artista collezionare? Ve lo spiega Globartmag

 Per quale motivo si collezionano le opere di un determinato artista piuttosto che di un’altro? Difficile rispondere a questa domanda e molto spesso la risposta può variare in base a diversi fattori  associati al livello di attenzione che un artista riesce a creare attorno al suo lavoro. C’è da precisare che quando si parla di grande collezionismo è quasi sempre inutile parlare di fattori estetici anche se molti esperti del settore continueranno ad insistere sul valore estetico e filosofico nascosto dietro al collezionismo di una data opera d’arte.

I Velvet Underground sono più famosi di Andy Warhol

 Noi tutti eravamo sicuri del fatto che Andy Warhol fosse l’unica icona capace di ispirare le nuove generazioni artistiche della sottocultura di New York. Pensavamo che la rivoluzione pop del buon vecchio Drella (come erano soliti chiamarlo gli amici unendo Dracula con Cinderella) fosse il motore centrale di ogni manifestazione creativa giovanile. Ed invece ci sbagliavamo perché stando a quanto dichiarato da Bloomberg la band dei Velvet Underground, che fu creata a tavolino proprio da Andy Warhol, ha scavalcato il maestro guadagnandosi una fama ed un’ammirazione ancor più grande dei tempi in cui Lou Reed, Nico e soci imperversavano sui palchi della grande mela con il loro sound grezzo ma innovativo.

In questi giorni Lou Reed assieme alla batterista Maureen ‘Moe’ Tucker ed al bassista Doug Yule saranno protagonisti di una piccola reunion alla New York Public Library esattamente a quarant’anni di distanza dall’uscita del loro Lp di debutto, quello con la banana creata da Andy Warhol in copertina, per intenderci. La stretta connessione tra New York ed i Velvet Underground sarà la tematica principale di questa riunione moderata dal giornalista del Rolling Stone, David Fricke.

La crisi economica e la crisi da vernissage

 Quando un collezionista è entrato casualmente nella William Havu Gallery di Denver il gallerista ed il suo assistente erano al settimo cielo. Il visitatore aveva infatti concluso l’acquisto di un grande dipinto per svariate migliaia di euro In altri tempi la vendita sarebbe rientrata nella routine del triangolo d’oro di Denver ma in un periodo di forte crisi dove ad esempio la galleria Havu ha perso il 40 per cento delle vendite, una vendita del genere è salutata con grande sollievo.

Faccia a faccia con quella che è stata più volte definite la grande recessione anche la ricca città Americana si è trovata impreparata ed ora deve contare i suoi feriti, 120 gallerie che negli ultimi anni sono ridotte all’osso. “Non voglio fare nomi ma ho sentito alcuni galleristi, gente che di solito non lascia trapelare nulla, parlare di quanto siano andati male gli affari quest’anno e penso che questo genere di cose si sentano solo quando ci si trova in tempi di estrema ristrettezza” Ha ultimamente dichiarato Ivar Zeile della Plus Gallery. 

Parliamoci chiaro: il 2013 non è creativo quanto il 1913

Incredibili rivoluzioni artistiche e nuove forme di architettura… il problema è che stiamo parlando del secolo scorso. Ciò che è stato creato nella prima decade di questo secolo non può essere nemmeno lontanamente paragonata agli stessi anni del secolo scorso.

Gaudì crea edifici che rassomigliano a sculture sognate da un profeta allucinato. A Vienna un giovane Egon Schiele aggiunge nuovo genio all’arte di Gustav Klimt. In Italia nasce il Futurismo, una delle più grandi avanguardie artistiche mai pensate.  Ed a Parigi Picasso e Matisse impazzano come non mai.  Con questi incredibili cambiamenti e tumulti chissà cosa succederà tra cento anni, il 21 secolo sarà incredibilmente ricco di invenzioni artistiche? Ecco, un critico che nel 1913 si fosse posto questa domanda e avesse poi viaggiato nella macchina del tempo di H.G. Wells fino ai nostri giorni sarebbe certo molto sorpreso e scontento.

Quando il museo si trasforma in galleria privata

 Nel 2008  tutte le opere della mostra di Richard Prince alla Serpentine Gallery di Londra provenivano dallo studio dell’artista ed erano disponibili sul mercato. Tutti i costi della mostra, ossia cataloghi, trasporti ed installazioni sono stati coperti dai dealers di Prince e cioè Larry Gagosian e Ronald Coles. Un’opera dell’artista venduta dopo la mostra ha raggiunto una cifra a sei zeri. Anche la mostra di Karen Kilimnik alla Serpentine è stata realizzata grazie agli aiuti della sua galleria la 303 Gallery di New York.

La mostra @Murakami tenutasi sempre nel 2008 al Los Angeles Museum of Contemporary Art è stata sponsorizzata dalle gallerie di Takashi Murakami e cioè Blum&Poe, Gagosian, Perrotin e supportata persino da Louis Vuitton il quale ha installato un mini shop nel museo e si è messo a vendere oggetti disegnati dall’artista per il celebre marchio. La rovinosa Mostra di Damien Hirst alla Wallace Collection di Londra è stata realizzata grazie ad un’ingente somma messa a disposizione dall’artista stesso. Hirst ha infatti contribuito con 417.000 dollari ed ha coperto tutti i costi della mostra. Intanto in Francia la mostra di Jeff Koons a Versailles agli inizi del 2009 è stata realizzata grazie a Francois Pinault che oltre ad essere collezionista di Koons è detentore della casa d’aste Christie’s, della galleria Haunch of Venison e di due musei a Venezia.

Il mondo dell’arte contemporanea è a un bivio: restaurare o replicare?

Alcuni anni or sono al dipartimento di conservazione del Whitney Museum di New York era stata assegnata la missione di preparare Ice Bag Scale C di Claes Oldenburg in occasione di una grande retrospettiva dedicata all’artista. L’opera in questione era un enorme macchinario costituito da un ventilatore ed una specie di sacco di 12 piedi di diametro fatto di nylon e resina di poliestere.

L’opera che è stata prodotta nel 1971 e prevedeva lo sgonfiamento e il rigonfiamento del grande sacco evocando il respiro di una creatura addormentata, nel corso degli anni però i motori del ventilatore hanno cominciato a funzionare a singhiozzo ed il sacco si è deteriorato, insomma l’opera andava restaurata prima del grande evento. Carol Mancusi-Ungaro, il direttore del dipartimento di conservazione, cominciò quindi il delicato restauro usando tecniche più o meno tradizionali ma altri dirigenti dell’istituzione non furono d’accordo con tali metodi, dichiarando che l’opera di Oldenburg era stata totalmente ricostruita e che quindi si trattava di una copia e così andava citata anche al momento della mostra.

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