Il grande bluff della curatela all’italiana

Nel sistema dell’arte contemporanea Made In Italy ed in particolar modo all’interno della scena curatoriale c’è qualcosa che non va, qualcosa che la sottoscritta non riesce proprio a digerire ma per meglio analizzare questo profondo stato di malessere bisogna initiare ab ovo. Durante la fine degli anni ’90 e sino al 2005 (circa), la pratica curatoriale nel nostro bel paese ha subito una brusca sterzata, trasformandosi in qualcosa di molto simile alla professione di P.R.

Alcuni curatori hanno mantenuto una visione per così dire critica, perseguendo un tradizionale percorso fatto di saggi, testi, esperienze sia domestiche che oltreconfine, fino al conseguimento degli strumenti  necessari per emergere, misurarsi e “fare sistema”. Altri invece, come si diceva, hanno preferito darsi alle pubbliche relazioni ed al management,  promuovendo artisti a iosa (con scelte discutibili) e promettendo mari e monti alle gallerie private per poi deluderle sistematicamente al mancato arrivo di collezionisti dotati di moneta sonante. Infine c’è chi ha scelto di ricavarsi una figura professionale starting from scratch, illudendo ed illudendosi sul fatto di poter assurgere al ruolo di consulente onnipotente/onnisciente, quando di fatto il nostro mercato era già ottenebrato da scelte operative del tutto inconcludenti.

Crisi o non crisi il popolo ha bisogo di cultura

C’è crisi ovunque, i collezionisti latitano, gli artisti si lamentano e così pure i galleristi. Eppure l’arte per così dire istituzionale non sembra essere in deficit. Secondo un sondaggio effettuato dal Ministero dei Beni Culturali, da Gennaio a Settembre 2011 c’è stato un netto incremento dei visitatori all’interno dei musei. Le presenze sono infatti aumentate dell’8,06% mentre gli incassi hanno fatto registrare un rialzo del 6,32%.

Questa notizia potrebbe sembrarvi un poco campanilistica ma in questo momento dove il mondo della cultura è pesantemente attaccato da più parti, un poco di aria pulita non fa mai male, se non altro per ribadire il concetto che con l’arte si mangia. Ed il concetto in questione è stato ribadito anche dal direttore generale del Ministero dei Beni Culturali Mario Resca, che ha così risposto ai numeri del sondaggio: “”La conoscenza è un accumulo non uno spreco. In questo momento di crisi la cultura rappresenta un elemento molto importante. Noi abbiamo un patrimonio enorme va solo fatto conoscere. Questa richiesta di cultura da parte degli italiani è solo l’effetto di una fortissima domanda che era latente e che noi, della direzione generale del Mibac, abbiamo capito e intercettato in modo da dare delle adeguate risposte”.

Costringere l’arte a rispettare l’arte

Le scritture private esistono, questo mi sembra già un buon motivo per utilizzarle. Si parla ovviamente del nostro colorato mondo dell’arte contemporanea all’italiana, un universo talmente variegato e stravagante che a volte può anche dar fastidio. Ma andiamo per gradi e cominciamo ad esporre qualche esempio.

Un curatore d’arte contemporanea intende collaborare con la galleria XYZ, l’obiettivo è quello di organizzare una mostra e redigere i testi critici. A molti sembrerebbe strano ma stiamo parlando di lavoro e come tale si ha diritto ad un’adeguata retribuzione che tra le altre cose non è regolata da nessuna tabella tariffaria. Allora il curatore cosa fa? Pattuisce una data cifra con il gallerista ed i due si accordano verbalmente per i termini del pagamento. Inizia la mostra ed i soldi non si vedono, la mostra finisce e della vil pecunia nessuna traccia. Morale della favola, il curatore viene pagato a tozzi e bocconi nei mesi successivi e molto spesso non riceve la cifra pattuita per intero. L’accordo non era stato sancito da nessun contratto e non si possono intraprendere vie legali.

Paolo Baratta resta alla Biennale di Venezia

Dell’alto tasso di berlusconismo all’interno della scena dell’arte contemporanea nostrana ne abbiamo parlato giusto pochi giorni fa ed abbiamo velocemente analizzato vizi e comportamenti di un sistema allo sbando. Una delle più grandi vittime del berlusconipensiero è stata la nostra cultura istituzionale. Tra Bondi e Sgarbi infatti (tanto per citar i due nomi più lampanti) l’Italia della cultura è riuscita a raggiungere il punto più basso mai toccato da qualsiasi altro malgoverno.

Ora il regime berlusconiano è crollato, il monumento è stato abbattuto ma come già detto è ancora troppo presto per festeggiare. Politicamente ed economicamente a muovere i fili del burattino-Italia sono la comunità Europea e le grandi agenzie di rating americane che fanno il bello ed il cattivo tempo tramite “opinioni” basate sul nulla. Va detto però che la caduta di Silvio sta già portando alcuni incoraggianti cambiamenti, almeno per quanto riguarda il bieco balletto di poltrone regalate ad amici e nipoti. Come ben ricorderete, il ministro Galan aveva già deciso di detronizzare Paolo Baratta e mettere alla guida della Biennale di Venezia tale Giulio Malgara, vale a dire il fondatore di Auditel e grande amico di Silvio Berlusconi.

Cadrà il berlusconipensiero dell’arte contemporanea?

Qualcuno ne ha contati 17, forse per avvicinarli idealmente ad un altro ventennio poco felice per la nostra storia. In realtà sono meno di 10 ma non è questo il punto nodale. Parliamo ovviamente del governo del presidente, di quel Silvio Berlusconi furioso che nel bel mezzo del passato week end ha lasciato la sua poltrona con tanto di addio televisivo.

La caduta dell’imperatore ha lasciato spazio a festini in piazza, trenini stile capodanno, esultanze da scudetto insperato. Il popolo festeggia così ed anche noi non possiamo che dirci contenti. Dopo la gioia incontrollabile segue però il momento della riflessione, l’analisi di ciò che questo “cambio epocale” (come lo definisce la Repubblica) può significare per il nostro paese. Berlusconi cade ma non cade il berlusconismo, un comportamento che nasce dal seno stesso dell’Italia degli anni ’80 e che non può essere sradicato con la caduta di un governo. Berlusconi ha creato il berlusconismo ma già da tempo questa potente arma gli era sfuggita di mano, innescando parabole incontrollabili all’interno della massa fino ai vertici dello Stato.

Quando c’erano loro…

Periodo di astuta incertezza o totale stallo creativo? In molti se lo chiedono, sta di fatto che i comportamenti dei due enfant terrible dell’arte contemporanea sono profondamente cambiati nel corso degli ultimi dieci anni. Parliamo di due artisti che nel bene e nel male hanno segnato un epoca, scrivendo nuove pagine all’interno dei libri di storia dell’arte contemporanea. Si tratta ovviamente di Damien Hirst e Maurizio Cattelan, personalità e stili diversi ma fondamentalmente simili, in comune soprattutto la voglia di scioccare, di fare notizia e lasciare il pubblico con il riso amaro in bocca.

Hirst e Cattelan, gemelli diversi separati alla nascita, uguali anche per il polverone economico sollevato dalle loro opere, sfociato in seguito nello scoppio della bolla dell’arte contemporanea. Hirst oggi ha 46 anni, un palmares ricco di ori e riconoscimenti, mostre in musei di tutto il mondo e presenze nelle più blasonate collezioni. Dopo un suo ritorno alla pittura pesantemente criticato da pubblico ed addetti al settore, il folletto britannico ha da poco realizzato l’etichetta (e la confezione) del Somerset Cider Brandy. Hirst è ormai un brand.

Vedere la Madonna o non vederla affatto

Ho seguito distrattamente ma non senza un certo interesse una singolare polemica apparsa in questi giorni sulle pagine di Artribune. In realtà  non dovrebbe trattarsi di una polemica, visto che tutto è partito da un semplice resoconto di una mostra. Ma come si sa in Italia si è facili alle zuffe, specialmente se esse scaturiscono dal variegato mondo della rete. Il resoconto in questione è focalizzato su una recente opere del bravo Gian Maria Tosatti in quel di New York, durante una residenza d’artista.

Non sto qui a dilungarmi sulla descrizione dell’opera visto che potrete trovare immagini e parole all’interno dell’articolo pubblicato da Artribune. Inutile aggiungere che Gian Maria Tosatti ha intrapreso da anni un percorso creativo ben preciso che non ha certo bisogno di difese esterne e non può sollevare dubbi sulla qualità sia filosofica che formale. Detto questo, l’operato di un artista può e deve essere criticato, può piacere o meno ma non è questo il punto. Ciò che mi ha davvero colpita è la sfilza di commenti negativi, perlopiù dettati da una malcelata invidia, presenti in calce all’articolo.

Il mondo dell’arte tra 1% e 99%

Voi, proprio voi che state leggendo le mie parole in questo esatto momento. Sono sicura che fra di voi c’è un altissimo numero di giovani artisti, giovani giornalisti, giovani galleristi, giovani curatori e giovani critici. Sto parlando di gente che ha deciso di intraprendere una dura scalata sul ripido monte della scena dell’arte, gente che ha studiato e si è laureata o magari è divenuta maestro d’arte o ancora ha preso parte ad un costosissimo master.

Sto parlando di gente che mangia pane e arte da quando ricorda di avere dei ricordi, che la mattina si sveglia e la prima cosa che fa è aprire un magazine d’arte, che non si perde una mostra nella sua città, che quando va in vacanza non dimentica mai di visitare musei e gallerie locali e molte volte viaggia proprio in funzione dell’arte. Sono le stesse persone che lottano per entrare in una scuderia di qualche galleria che venda le loro opere senza specularci sopra, che lavorano come assistenti di galleria, scrivono tonnellate di articoli e curano mostre su mostre.

Criticare (solo) quando si deve

Personaggio non proprio facile il nostro Jean Clair, curatore e critico d’arte contemporanea di fama internazionale che nel corso della sua carriera ha inanellato una lunga serie di successi ma anche di lunghi scivoloni. E’ ormai storico il rifiuto del grande Gino De Dominicis riguardo la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1995, per l’occasione l’artista immortale indirizzò al critico una lettera con su scritto: “Le mie opere non vogliono essere esposte alla XLVI Biennale di Venezia”.

Ebbene, arriviamo al nocciolo della questione: in un intervista fiume apparsa proprio stamani fra le pagine di Repubblica, Clair attacca duramente la scena ed il mercato dell’arte contemporanea. Si tratta di un assalto all’arma bianca a ciò che sino ad oggi gli ha dato da mangiare: “I musei sono come Disneyland”, “la gente si trova dentro al museo di arte contemporanea e non capisce quello che vede”, l’arte è ormai ostaggio del mercato”. Questi sono gli argomenti di Clair ed intanto, tra una bordata e l’altra non perde l’occasione di pubblicizzare il suo nuovo libro.

Aspettando che il pubblico arrivi

Le placide giornate al mare sono ormai un lontano ricordo ed i molti vernissage di settembre, organizzati da gallerie private e musei, hanno dato il via alla seconda parte della stagione artistica 2011. Eppure qualcosa non torna, le manifestazioni girano con i motori a mezzo servizio, persino le gallerie che inaugurano mostre con nomi altisonanti si ritrovano semivuote con scorte le vino che avanzano per le settimane a venire. Qualcuno ha subito dato la colpa alle aperture anticipate che hanno colto impreparate le molte persone ancora in ferie ma oramai siamo giunti ad ottobre e la situazione non sembra migliorare.

Il conto è facile da stilare, alle mostre d’arte contemporanea manca attualmente circa la metà del pubblico dello scorso inverno. Ovviamente noi addetti del settore non possiamo che sperare in una pronta “guarigione” ma il problema risiede nella qualità dell’offerta e non nella quantità. Se il pubblico non confluisce significa che ha trovato di meglio da fare e questo, per il nostro sistema post Padiglione Italia by Vittorione Nazionale e post crollo dei poli museali, non è una gran bella faccenda. Quelle poche mostre che hanno sino ad ora salvato la baracca hanno meritatamente beneficiato di una grande affluenza di pubblico attirato da proposte veramente interessanti.

Mostra del cinema di Venezia e Say Yes: le sorprese di Nastro Azzurro non finiscono mai

A cosa dire si senza riserve e con tutto il cuore, in ogni circostanza? Alla vita. Certo, ma prima ancora? Al proprio benessere. Non ci siamo, pensateci bene. Alle donne ovviamente, che tra pregi e difetti arricchiscono con allegria, bellezza e generosità l’universo maschile. Ecco che quindi la nuova campagna di comunicazione lanciata a luglio da Nastro Azzurro, sponsor per la terza volta della Mostra del Cinema di Venezia, continua a conquistare tutti. Se nei giorni scorsi sono state proprio le attrici protagoniste che hanno sfilato sul tappeto rosso in Laguna a lanciare il loro Say Yes, le due parole simbolo della filosofia del marchio di birra, adesso nasce lo slogan Say Yes, Say Women.

Tatuaggio a tre voci alla Mostra del Cinema di Venezia: Nastro Azzurro premia l’arte e lo stile italiano

La Mostra del Cinema di Venezia, stavolta è ancora di più:  oltre che una immensa vetrina di talenti e di lungometraggi dal tocco innovativo, diventa perciò la chiave di inesplorate contaminazioni e una fusione totale tra arte, macchina da presa e stile. Un risultato che probabilmente non avrebbe ottenuto al meglio senza il suo sponsor d’eccezione,  Nastro Azzurro, che per la terza volta porta una ventata di freschezza ed originalità ad una kermesse che in questo modo non rischia mai di apparire d’annata o sempre uguale a se stessa. La nuova filosofia ispirativa del brand di birra noto in tutto il mondo è Say Yes, campagna di informazione che suggerisce un atteggiamente più aperto verso il mondo e la capacità di dire Si non perdendosi il meglio che l’esistenza quotidiana offre. Parole che resterebbero, come si suol dire in gergo giornalistico “aria fritta” se non ci fossero degli eventi di largo respiro a rendere meglio il concetto. Uno di questi si è svolto nella Terrazza Nastro proprio ieri con il Tatuaggio a tre voci nella splendida cornice della Red Carpet Terrace. Una dimostrazione reale di quanto le fusioni di genere sono poi quelle che decretano il successo di un incontro. A tal proposito si sono mischiate magicamente insieme le parole di Nicolai Lilin, la voce di Vinicio Marchioni e il suono dei Velvet, anticipando un successivo tour a tema.

Webalfemmnile: maratona online su donne e tecnologia

 L’arte di delineare i contorni del rapporto fra la donna e la tecnologia è affidata a Futuro@lfemminile che, anche quest’anno, rinnova l’appuntamento con la manifestazione digitale Web@lfemminile.

La maratona online in programma giovedì 31 marzo sarà accessibile sul sito Webalfemminile e sul canale MSN Donne. Il progetto di responsabilità sociale di Microsoft, Acer e Cluster Reply vuole valorizzare la figura della donna in una società, che ancora oggi è strozzata dal pregiudizio e dallo stereotipo di genere. Lo slogan dell’edizione 2011 è “Aggiorna la tua vita”, che vuole essere un invito per arricchire il proprio bagaglio di conoscenze offerto dalle nuove tecnologie.

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