Eddie Peake ritorna alla Lorcan O’Neill per dissacrare spazi e luoghi comuni

Provocare e sorprendere. Sono i due termini su cui ruota l’intera ricerca di Eddie Peake (Londra, 1981), giovane artista inglese che si è prepotentemente e rapidamente affermato conquistando l’attenzione del pubblico d’oltremanica. Per la seconda volta, la galleria Lorcan O’Neill presenta i suoi lavori attraverso la mostra Call 2 Arm, in cui si rileva immediatamente la sua anima eclettica. L’eterogenea produzione del londinese, infatti, spazia dall’utilizzo del neon, alla pittura, dalla fotografia, alla performance. Adottando i diversi ruoli di pittore, scultore, performer, coreografo e, perfino, curatore con il fine di offrire una riflessione sulla vita urbana moderna, ponendo particolare attenzione nei confronti dell’ambiguità e dell’identità sessuale.

Eddie Peake, classe 1981, nasce a Londra ma ha vissuto a Gerusalemme, Roma e Londra. Oggi vive e lavora a Londra, dove sta completando un Master alla Royal Academy. Si è diplomato nel 2006 alla School of Fine Art e dal 2008 al 2009 è stato residente alla British School di Roma. Nonostante la giovane età ha all’attivo una serie di performance alla Royal Academy e al Cell Projects. A fine 2011 è sbarcato oltreoceano, a Los Angeles per la precisione, dove ha inaugurato la sua personale ‘Boydem’ presso la galleria di Mihai Nicodim. Inoltre, il suo lavoro è stato esposto in numerose collettive tra cui: ‘March’ presso Sadie Coles HQ a Londra, ‘Glaze’ da Bischoff Weiss a Londra, Chez Valentin a Parigi e ‘Re-Generation’ al MACRO Testaccio di Roma, quest’ultima visitabile fino al 9 settembre. Per di più, lo scorso 26 Luglio, ha realizzato una performance alla Tate Modern per la mostra inaugurale di Oil Tanks, nuova ala espositiva del museo, e alla Chisenhale Gallery di Londra.

Albert Oehlen: dai dipinti Pop all’essenzialità dei ‘Drawings’

Fino al 27 luglio la Gagosian Gallery di Roma ospita la mostra ‘Drawings’ di Albert Oehlen, proseguimento dell’esposizione di dipinti dell’artista presentata a marzo presso la Gagosian Gallery New York di Madison Avenue. A due passi da Piazza di Spagna e da Via Veneto sorge l’imponente edificio ristrutturato nel 2008 per accogliere la nuova sede di una delle principali gallerie di arte contemporanee mondiali.

Le colonne in stile corinzio dell’entrata ricordano la facciata di un tempio greco, anticipando le ampie dimensioni dei suoi interni, dove i recenti disegni di grande formato (300x200cm) del tedesco sono dislocati nei tre ambienti in cui è suddiviso lo spazio. Nella sala ovale, un vasto openspace caratterizzato da un soffitto altissimo e da una serie di finestroni, che invitano l’occhio del fruitore ad osservare il palazzo adiacente, sono distribuiti su una parete bianchissima sei dei nove carboncini su carta presentati per l’occasione.

Albert Oehlen (1954, Krefeld, Germania – vive e lavora tra la Germania, la Svizzera e la Spagna), attualmente insegnante di pittura all’Accademia di Düsseldorf, ha studiato ad Amburgo con Sigmar Polke e ha lavorato a stretto contatto con Martin Kippenberger. Ha conseguito mostre personali presso il Stedelijk Museum di Amsterdam (1997), il Musée d’Art Moderne et Contemporain di Strasburgo (2002), il MOCA di Miami (2005), la Whitechapel Gallery di Londra (2006), il Musée d’Art Moderne de la Ville di Parigi (2009), il Räume für Kunst, Freiburg, Germania (2010) ed il Carré d’Art di Nîmes (2011). Nel 2004–05 il Musée Cantonal des Beaux-Arts di Losanna lo ha celebrato attraverso una retrospettiva.

Il Teatro anatomico di Silvia Giambrone

IMG 1701 from Emanuele Napolitano on Vimeo.

Giovedì 12 luglio si è svolta al MACRO Testaccio di Roma la performance Teatro Anatomico di Silvia Giambrone, ospitata all’interno della mostra Re-Generation.  Noi di Globartmag eravamo presenti quindi vi forniamo di seguito un piccolo resoconto di ciò che è accaduto:

Fa caldo, molto caldo. Negli spazi sovrastanti la Pelanda un nutrito gruppo di persone attende con ansia di scoprire cosa succederà, nel mentre l’occhio cade su di un comodino ed una sedia che occupano inerti e sornioni la sala circolare, mobilio vecchio stile, rassicurante come le case d’altri tempi.  L’artista entra, sedendosi placidamente sulla sedia. Giusto il tempo di sistemare un colletto di pizzo sulla carne nuda al di sotto del collo, ed ecco entrare un uomo che la affianca. L’uomo ha una borsa, da cui lentamente tira fuori ago chirurgico e filo.

Valentina Vannicola rivela i segreti di Tor Pignattara

Amore a prima vista è stato quello tra Valentina Vannicola (Tolfa, 1982) e la Wunderkammern, che ospita per la seconda volta, nella medesima stagione, i suoi lavori. Fino al 28 giugno la galleria propone la nuova serie fotografica della romana che, armata dell’inseparabile reflex, ha immortalato siti e abitanti del caotico e graffiante quartiere di Tor Pignattara dando vita a scatti surreali. La mostra s’inserisce all’interno della terza edizione del progetto ‘Living Layers’, realizzato in collaborazione con il MACRO, con lo scopo di attivare letture del contesto del Municipio Roma 6 e del suo Living Heritage attraverso il coinvolgimento di artisti provenienti da diversi ambiti di ricerca per proporre interazioni trasversali e inedite dello spazio urbano.

La nostra fotografa, regista, costumista e scenografa offre al pubblico un linguaggio riconoscibile caratterizzato da un costante studio nei confronti delle inquadrature, delle pose dei personaggi, degli oggetti inseriti e degli indumenti di scena. Affascinata dalle fiabe e dai mondi incanti, Valentina è solita scegliere un territorio specifico in cui ambientare le sue istantanee, dove la popolazione locale diventa l’indiscussa protagonista. Se nella precedente mostra Su(L)reale la Vannicola si è lasciata ispirare dal genere della favola riattualizzandola attraverso usi e costumi contemporanei, per Living LayersIII ha impressionato nella sua pellicola luoghi noti al fruitore (come l’aeroporto militare Francesco Baracca, il centro commerciale o i numerosi parchi della zona) connessi tramite un legame di tipo emotivo da cui scaturisce un viaggio mentale in chi osserva l’immagine.

L’origine: un intervento di Chiara Mu e Baldo Diodato

 

 

 

Ogniuno di noi, almeno una volta nella vita, si è trovato ad immaginare come poteva essere l’inizio, il momento in cui l’indistinto prende forma e diviene sostanza, e diviene mondo. E molti di noi conservano sotto forma di traccia, di sfocata percezione “quel dolce bisogno di niente” che sembra aver caratterizzato l’esperienza del proprio concepimento. Qui le dissertazioni psicoanalitiche si sprecherebbero ma non è su questo che ci si vuole focalizzare. Lo spunto per questa riflessione nasce da un evento svoltosi lo scorso 21 giugno presso Bibliothé Contemporary art Gallery e intitolato L’origine che prevedeva un intervento congiunto di due artisti differenti per generazione e metologie operative: Chiara Mu e Baldo Diodato.

Verso la fine del mondo e molto oltre

Lungimirante, stupefacente, mastodontica scommessa quella fatta da Patricia Armocia che regala a Milano una mostra che lascia il segno e che mostra cosa significa credere davvero negli artisti e nell’arte. Perché produrre cultura si può e non è solo un discorso di investimenti, è questione di qualità delle idee e visionarietà di chi le rende possibili. The folding of a know world è innanzitutto una mostra di tre giovani artisti: Swoon, Monica Canilao e Dennis McNett, non la definirei una mostra collettiva, piuttosto un progetto comune. The folding of a know world è più simile all’esperienza di tre amici che vanno in campeggio e siccome sono artisti si divertono a costruire cose con materiali di recupero ed è tale la loro capacità di fondersi esaltando al contempo le proprie peculiarità che si crea una forza generatrice di meraviglie grazie alla loro unione.

Piegando a loro volere materiali vissuti e abbandonati nel tempo sono stati capaci di costruire in una manciata di giorni un mondo fantastico racchiuso tra le mura della galleria. La storia che raccontano non è rassicurante, ma visto il panorama che ci circonda nel mondo reale non ci resta che seguirli nel percorso. Il punto di partenza è l’oggi, momento in cui la sesta estinzione di massa è alle porte e noi esseri umani ne siamo la causa diretta. Da qui bisogna ricominciare: il mondo che conosciamo crollerà su se stesso, sarà la dea Kalì, nella quale convivono forza distruttrice e creatrice in quanto madre dell’universo, a scatenare il cambiamento.

A Roma l’Home gallery è di Casa..Con Vista!

Con Casa con vista Roma si allinea alla tendenza berlinese dell’home gallery ovvero la messa a disposizione da parte di privati del loro spazio domestico, convertito per l’occasione in una location artistica temporanea. L’evento, alla sua prima edizione, si propone il fine di suggerire una fruizione non tradizionale dell’opera d’arte, al di fuori dei classici contenitori espositivi istituzionali.

L’innovativa formula, curata da Daniela Cotimbo, è stata arricchita, rispetto alla proposta tedesca, dislocando la manifestazione in quindici abitazioni site presso l’intero quartiere di Trastevere. Nelle giornate di sabato 12 e domenica 13 Maggio un pubblico variegato ha partecipato alla brillante iniziativa munito di una mappa in cui erano era scandito il percorso da Via Filippo Casini a Via delle Mantellate. I fruitori, accolti e rifocillati dai proprietari di storiche dimore abilmente ristrutturate e dotate di viste panoramiche mozzafiato, hanno gradito il sincero e confidenziale rapporto instauratosi con gli artisti coinvolti. Creativi di vari ambiti generazionali, operativi e locali hanno interagito relazionandosi con l’appartamento, studiando allestimenti ad hoc o presentando opere già esposte, tuttavia, in sintonia con le peculiarità dell’ambiente.

Alice Pasquini, lo spirito ribelle del gentil sesso

Chi ha detto che le ragazze stile ‘Cenerentola’ sono le migliori? E’ questa la domanda cardine su cui ruota ‘Cinderella Pissed Me Off’, la prima mostra di Alice Pasquini presso la 999Contemporary, sita nel quartiere popolare di Testaccio, a due passi dal MACRO Testaccio. Nonostante i suoi personaggi suscitino nello spettatore sensazioni di dolcezza e sensualità la sua volontà d’espressione va ben oltre. Infatti, a causa dell’insofferenza della nostra beniamina nei confronti di quelle donne incapaci di vivere sole, che necessitano di un principe azzurro che le supporti nella quotidianità, ha deciso di rappresentare lo spirito irriverente e ribelle del gentil sesso. Le sue opere sono, infatti, un inno alla donna in quanto individuo indipendente, capace di affrontare ogni situazione o difficoltà.

Alice Pasquini (Roma, 1981 – vive e lavora a Roma) è considerata tra le più famose street artist del mondo insieme a Blu, Sten&Lex, Bansky, JR, C215, Faith 47 e Swoon. Artista caratterizzata da un indole apparentemente calma che nasconde, in realtà, un inquietudine interna da cui deriva l’incessante esigenza di spostarsi continuamente. Negli ultimi dieci anni ha vissuto in Spagna, Gran Bretagna, Francia, Norvegia lasciando il segno del suo passaggio su ogni possibile superficie urbana.

La celebrazione della materia disadorna

Essenzialità, linearità e dinamicità sono le caratteristiche che contraddistinguono il lavoro scultoreo di Nunzio, in mostra nelle due sedi romane della Galleria Bonomo. Per l’occasione l’artista ha realizzato una serie di opere site-specific che esplicitano la sua ricerca imperniata sulla materia e sulle sue qualità intrinseche.

Nunzio di Stefano (Cagnano Amiterno, AQ – 1954) è uno dei principali esponenti della scultura italiana degli ultimi trent’anni. Nel 1973, dopo aver conseguito il diploma di scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma, apre uno studio presso l’ex Pastificio Cerere, nel quartiere di San Lorenzo, dove lavorano anche Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Piero Pizzi Cannella e Marco Tirelli. Tale vicinanza porta alla costituzione di un vero e proprio gruppo creativo che sarà ufficializzato nel 1984 con la collettiva ‘Ateliers’ organizzata da Achille Bonito Oliva. Al 1981 risale la sua prima mostra personale presso la Galleria Spazia di Bolzano, a cui seguirà quella romana presso la Galleria ‘L’Attico’ nel 1984. Nel 1986 partecipa alla Biennale di Venezia, dove vince il ‘Premio 2000’ come miglior giovane artista.

Short stories 15 – Behind the curtains

CHI: Paolo Cavinato (1975 – Asola,Mantova) è un giovane scultore italiano di quelli che dovremmo sventolare in giro come orgoglio della nazione, ma si sa che l’Italia in questo non è brava. Per questo ha fatto tutto da solo, anche la pubblicità all’estero, e ci è riuscito bene approdando con una mostra personale alla Royal British Society of Sculptors di Londra. Amato dalle giurie dei premi fin dalla conquista del terzo posto al Premio Fondazione Arnaldo Pomodoro nell’ormai lontano 2008 e grande lavoratore. Cavinato è partito dall’amore per il teatro e la scenografia per delineare uno stile scultoreo assolutamente personale, in un equilibrio perfetto tra seconda e terza dimensione, che evolve positivamente ad ogni nuova mostra.

DOVE: The Flat di Massimo Carasi – Milano

QUANDO: 10 aprile – 9 giugno 2012

COSA: In mostra nello spazio sotterraneo della galleria la nuova produzione dell’artista. Elementi fondanti del lavoro sono l’idea di Assoluto, il luogo fisico, la prospettiva, la trasparenza e le nostre capacità percettive. Sculture a parete da appendere con cornici di legno e mandala di filo intrecciato all’interno, enormi costruzioni appese al soffitto contengono spazi immaginari come porte su altri mondi, rilievi di stanze in cartoncino che diventano equilibrate geometrie.

Parole in ricordo di lontane lande assolate

Richard Long (Bristol, 1945): un nome che rievoca paesaggi lontani, assolati e deserti. Luoghi disabitati ed inaccessibili, dove egli libera la mente lasciandosi ispirare dagli elementi naturali che lo circondano, per esprimere il proprio estro creativo attraverso installazioni ambientali di vaste dimensioni. Dagli anni Sessanta Richard ha iniziato a produrre straordinari interventi di Land Art che lo hanno reso famoso in tutto il globo, allargando le possibilità della scultura fino ad emanciparla nell’uso di nuovi materiali e tecniche innovative.

Long, presente all’opening alla galleria Lorcan O’Neill di Roma, è uno brioso sessantasettenne in splendida forma. In gioventù ha frequentato prima il West of England College of Art e, successivamente, la St. Martin’s School of Art di Londra. Ha partecipato a numerose mostre in tutto il mondo, perfino in Oriente. Già consacrato come una delle icone della propria generazione da importanti istituzioni museali, come il Guggenheim Museum di New York o la Tate Gallery di Londra, che gli hanno dedicando recenti retrospettive. Nel 1976 venne scelto come artista rappresentativo della Gran Bretagna alla XXXVII° Biennale di Venezia. Ha ricevuto numerosi premi tra cui il Turner Prize nel 1989. Infine, nel 1990 il Governo Francese lo ha nominato ‘Chevalier dans l’Ordre des Arts et des Lettres’.

Giovedì difesa: Dirk Gently

Assolutamente da vedere la serie televisiva britannica dedicata al personaggio di Douglas Adams. Apparentemente non era possibile girarla e in effetti a dirla tutta anche l’autore Howard Overman ha chiarito come lui non abbia nemmeno tentato di adattare i film alle storie dei libri.

Dirk Gently è un investigatore olistico. Questo lo porta a ricorrere a metodi quali l’orientamento Zen, che consistente nel seguire una persona, la prima che si incontri che dia l’impressione di sapere dove andare.

Giovedì difesa: Chronicle

Non esattamente e non completamente un mockumentary basato sul found footage, poichè la presunta cassetta trovata, presa dalla telecamera del protagonista, non giustifica tutte le scene. Inserti di visioni riprese dalla telecamera di un secondo personaggio e da telecamere di sorveglianza trasformano la scena in una scena ricostruita a posteriori, oppure in un’ipotetica scena in diretta in cui noi siamo in tutte le telecamere presenti.

Un’idea di divinità scrutante, interpretata dallo spettatore, che mi era sembrata dare i suoi massimi risultati forse nell’horror Paranormal activity 2, e che qui, data la rarità straniante dei cambi di sequenza si trasforma in momenti intensivi.

IL RUMORE CHE RESTA, Ricci/Forte Macadamia Nut Brittle

“Il rumore che resta, il rumore che resta di te”. Chi mai ha immaginato di poter restare per un attimo soli, in silenzio e cercare quel che resta dentro di sé, di un rumore, del rumore di un altro nel nostro corpo, nella nostra vita. Basterebbe distaccarsi dall’appiattimento che sta alla base della nostra quotidianità e magari potremmo ascoltarlo. Se riuscissimo a compiere quest’operazione, potremmo attraversare una porta, quella che ci permetterà di guardare fisso in fondo noi stessi, senza filtri o edulcoranti.

“Qual è il tuo rumore? Qual è il tuo rumore dell’amore?”. Inizieremo quindi a sentire la vita attraverso il nostro corpo cercando di afferrare a 360 gradi tutti gli impulsi che ci circondano. Ricci/Forte – Macadamia Nut Brittle. “Facciamo finta che ci amiamo”. Slanci, euforie, crisi, pianti, dolore, sesso e poi abbandono, amore, disinteresse, ironia, desiderio di annientarsi. Tutto davanti ai nostri occhi con estrema sincerità, testimoni di una radiografia della realtà, dell’uomo, di noi stessi.

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